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endometriosi

 

Scritto dal Dr. Marco Agnello

 

L’endometriosi è una malattia infiammatoria cronica estrogeno-dipendente, caratterizzata dalla presenza di tessuto endometrioide funzionalmente attivo in sedi diverse da quella classica uterina.

 

 

Chi ne soffre

Per darvi alcuni numeri, è una patologia frequente: si stima che ne siano affette dal 5 al 10% delle donne in età fertile, in particolare tra i 25 ed i 35 anni. Al contrario, è rarissima prima della pubertà e dopo la menopausa (proprio per la sua caratteristica di “dipendenza” dalla funzionalità ormonale).

In Italia, almeno 3 milioni di donne sono affette da endometriosi!

 

Che cos'è

L’endometrio è una mucosa che riveste la superficie dell’utero: cresce tutti i mesi e si prepara ad accogliere l’eventuale embrione frutto della fecondazione e, se ciò non avviene, si sfalda durante il ciclo mestruale, per poi ricominciare la sua crescita il mese successivo. È un meccanismo meraviglioso, che tutti i mesi prepara la donna in età fertile ad un’eventuale gravidanza.

Nell’endometriosi, l’endometrio è presente anche in sedi in cui non dovrebbe esserci: a livello delle ovaie, delle tube uterine, dei legamenti di sospensione dell’utero e della vagina, dell’ultimo tratto di intestino; meno frequentemente, piccole isole di endometriosi crescono nel peritoneo (la membrana che riveste e protegge gli organi addominali); ancor meno frequentemente, può svilupparsi negli organi viscerali: vescica, ureteri, parete intestinale; rarissimamente, a livello dei tessuti cutanei e sottocutanei, del diaframma, dei polmoni, del cervello.

Purtroppo, anche il tessuto endometrioide presente in queste sedi atipiche è soggetto alle stesse variazioni ormonali cui è soggetto l’endometrio uterino, per cui ogni mese si può assistere alla crescita delle isole endometriosiche, e alla loro involuzione/sanguinamento. Questo fenomeno, oltre a poter essere responsabile di dolore (la cui sede varia in base alla sede dei focolai endometriosici), porta ad un’infiammazione cronica spesso causa di cicatrici e aderenze che portano a diversi altri problemi a medio-lungo termine.

Immaginate che ogni mese, a seguito delle variazioni ormonali, si accenda una miccia in alcune parti del corpo, che brucia e che, anche una volta placata la fiamma, lascia dietro di sé una cicatrice indelebile. Un vero disastro.

 

I sintomi

Per fortuna, almeno il 30-40% delle volte l’endometriosi è asintomatica, e viene diagnosticata per caso, a seguito di indagini eseguite per altri motivi.

Quando si associa a sintomi, i più frequenti sono:

  • Il dolore pre-mestruale e in fase mestruale (un ciclo particolarmente doloroso, tutti i mesi, spesso tale da rendere necessaria l’assunzione di terapia antinfiammatoria/antidolorifica; da non confondere con il dolore mestruale che più o meno accomuna tutte le donne).
  • Dolore durante il rapporto sessuale (dispareunia). Sia per l’eventuale presenza di focolai endometriosici negli organi pelvici (per esempio nel setto retto-vaginale), sia per la contrattura muscolare perineale secondaria al dolore pelvico cronico.
  • Dolore o difficoltà nella defecazione.

 

I disturbi urinari

In verità, fino al 20% delle donne affette da endometriosi presenta anche dei disturbi urinari! Tra questi, i più frequenti sono la difficoltà ad iniziare la minzione; la sensazione di incompleto svuotamento (tenesmo vescicale); la minzione in più tempi (il dover tornare in bagno per fare ancora un po’ di pipì); il dolore vescicale/sovrapubico; il dolore e bruciore uretrale.

Un tempo si credeva che i disturbi urinari fossero sempre legati alla presenza di isole di endometriosi a livello dell’apparato uro-genitale (per esempio, bruciore e dolore vescicale associato alla presenza di endometriosi nello spessore della parete vescicale). Oggi sappiamo che non è così, e che i disturbi urinari sopra-descritti fanno spesso parte della cosiddetta “sindrome endometriosica”, ovvero un insieme di alterazioni metaboliche, ormonali e anatomiche che portano alla presenza di sintomi urinari anche in assenza di focolai di endometriosi evidenziabili clinicamente.

Per esempio, il bruciore uretrale e l’incompleto svuotamento vescicale possono essere secondari ad uno “spasmo sfinterico” che non permette un corretto rilassamento dell’uretra e della regione perineale.

I disturbi urinari spesso peggiorano (o si manifestano per la prima volta) dopo la chirurgia maggiore che viene riservata alle forme gravi di endometriosi (la cosiddetta “endometriosi profonda infiltrante”). Non è infrequente che le pazienti arrivino all’attenzione dell’urologo dopo una chirurgia per endometriosi particolarmente “invasiva”. Questo succede perché spesso tale chirurgia, che vuole essere radicale, va inevitabilmente ad indebolire, a stordire o addirittura a danneggiare la componente nervosa deputata al controllo della vescica e dell’ultimo tratto di intestino.

 

Gli accertamenti

È quindi molto importante che lo specialista (spesso il ginecologo, che per primo inquadra la patologia) indaghi anche i sintomi urinari, e che li consideri nel trattamento del paziente.

Esistono tanti accertamenti – oltre all’essenziale valutazione clinica – che possono aiutarci nella diagnosi di endometriosi: l’ecografia trans-vaginale, la risonanza magnetica, la TC, la risposta clinica alla terapia estro-progestinica. Il gold-standard (ovvero il modo più accurato per fare diagnosi) è la laparoscopia esplorativa, ovvero una chirurgia mini-invasiva che permette di vedere con i nostri occhi alterazioni anatomiche all’interno dello scavo pelvico o in altre sedi atipiche, cui associare una biopsia ed un’analisi istologica.

Anche dal punto di vista urologico esistono degli accertamenti che possono confermare il nostro sospetto legato alla presenza di disturbi urinari nella “sindrome endometriosica” (per esempio, l’indagine urodinamica). Tuttavia, tutti questi esami vanno proposti solo nel caso in cui ci aiutino a meglio definire il quadro e a meglio definire la terapia da indicare al paziente (insomma, non vanno fatti a caso!).

Da quanto detto è chiaro come la terapia per l’endometriosi sia complessa, e spesso debba coinvolgere più figure professionali (ginecologo, urologo, fisioterapista, endocrinologo, dietista), che seguano le giovani pazienti passo dopo passo.

 

 

 

Cos'è la vescica iperattiva/neurologica?

La vescica iperattiva (o vescica neurologica) è una patologia che interessa solo secondariamente la vescica, in quanto il problema è a livello nervoso.
Noi uriniamo perché il nostro cervello, in risposta allo stimolo di riempimento, manda un impulso nervoso ai muscoli lisci (ossia i muscoli involontari) della vescica che ne attivano lo svuotamento.
Se questi impulsi sono alterati accade che il detrusore (il muscolo che fa contrarre la vescica) si contrae, ma lo sfintere (l'apertura alla base della vescica, che consente all'urina di arrivare in uretra) non si rilassa e quindi non si apre, impedendo alla vescica di svuotarsi.
Ciò provoca residuo vescicale o, nei casi più gravi, la totale incapacità di svuotare la vescica.
La pressione all'interno della vescica di conseguenza aumenta, x cui l'urina cercherà una via di uscita verso l'alto (verso il rene) con conseguenti possibili pielonefriti.
Il residuo vescicale inoltre  comporta ristagno di urina e batteri, che hanno tutto il tempo per riprodursi e scatenare una cistite batterica.

Approfondimento: La cistite batterica

 

Come avviene la normale minzione?

La vescica è un organo muscolare. Il muscolo vescicale è chiamato detrusore ed ha 2 funzioni:

  1. funzione serbatoio attraverso il riempimento passivo,
  2. funzione pompa attraverso lo svuotamento attivo.

Durante il riempimento il detrusore si rilassa permettendo alla vescica di dilatarsi. Il collo vescicale (in cui è presente le sfintere uretrale superiore, cioè la valvola che chiude la vescica inferiormente) ed il pavimento pelvico invece si contraggono evitando la fuoriuscita di urina. In situazioni normali questi meccanismi di continenza riescono a contrastare l'attività di spinta del torchio addominale (quella muscolatura che utilizzi quando spingi per espellere le feci e che schiaccia la vescica in caso, per esempio, di tosse, sternuti e sollevamento di pesi).

fisiologia minzioneDurante lo svuotamento il detrusore si contrae aumentando la pressione vescicale e spingendo quindi l'urina all'esterno. Contemporaneamente si ha l'inibizione dell'attività del collo vescicale che si rilasserà consentendo allo sfintere di aprirsi. L'uretra e la muscolatura perineale si rilasseranno per non ostacolare il flusso urinario.

Tutta questa attività è controllata da diversi meccanismi nervosi. I recettori alfa e beta (sulla vescica e sull'uretra) passano l'informazione al nervo pudendo (che collega la vescica e la muscolatura al midollo spinale); da qui l'informazione arriva al midollo spinale (nella colonna vertebrale) che lo porterà alle strutture cerebrali (ponte e corteccia, dove c'è il centro del controllo della minzione). Dal cervello riparte il comando, che ripercorrerà lo stesso percorso, ma in direzione opposta, di contrarre o rilassare la muscolatura e le strutture coinvolte nella minzione.

 

Le cause

Una lesione in un punto qualsiasi di questa via nervosa compromette la trasmissione del messaggio dalla vescica al cervello e di conseguenza del comando dato dal cervello alla vescica ed ai suoi muscoli.

Le cause possono essere: diabete, parkinson, ictus cerebrali, traumi al midollo spinale, spina bifida, paraplegia, sclerosi multipla, sidrome di Fowler.

Se la lesione è cerebrale (tumori cerebrali, ictus, traumi cerebrali, Parkinson, ecc) si avrà contrazione esagerata (iperreflessia) del detrusore (con aumento della pressione vescicale anche in presenza di poca urina) e rilassamento dello sfintere uretrale (ipoattività sfinterica/uretrale). Ci sarà quindi collaborazione tra vescica e sfintere uretrale (sinergia vescico-sfinterica). La conseguenza sarà l'incontinenza più o meno marcata con urgenza e frequenza minzionale. Sarà assente il ristagno urinario dopo la minzione.
Se la lesione avviene a livello del midollo spinale (sclerosi multipla, spina bifida, traumi, lesioni, ernie e schiacciamenti vertebrali) si avrà marcata contrazione sia detrusoriale, che sfinterica (dissinergia vescico-sfinterica). Si contrarranno cioè sia la vescica (che tenterà di espellere l'urina), sia lo sfintere uretrale e l'uretra (che formeranno uno “schiacciamento” impedendone la fuoriuscita). Ciò provocherà incontinenza (parte dell'urina riesce comunque ad uscire nonostante la contrazione uretrale), ma con ristagno urinario elevato. Ci saranno urgenza, frequenza e disuria con coinvolgimento dei muscoli addominali (torchio addominale) per far fuoriuscire l'urina.
Se la lesione coinvolge solo i recettori vescicali e il nervo pudendo (neuropatia diabetica, fibromialgia, ecc) si avrà una mancata o scarsa contrazione della vescica (ipo-areflessia detrusoriale) nella quale non si creerà pressione, con conseguente ritenzione urinaria anche grave ed incontinenza paradossa.
I casi di eccessiva contrazione del detrusore (con o senza contrazione uretrale) vengono anche definiti “sindrome da vescica iperattiva”. La differenza fondamentale tra vescica neurologica e vescica iperattiva è che nel primo caso la causa scatenante è appunto un danno neurologico. La vescica iperattiva ha cause non neurologiche, non infettive e spesso sconosciute, quindi invece che indicare la causa, nella diagnosi viene indicato il sintomo maggiore: l'iperattività detrusoriale. Il Dr Francesco Pesce, neurourologo romano, scrive: “L'iperattività detrusoriale idiopatica è tale quando non è definita alcuna causa. L'iperattività detrusoriale neurogena è, di contro, sottesa da una condizione neurologica rilevante. Alla luce di quanto esposto è possibile utilizzare il termine empirico di 'vescica iperattiva' solo in assenza di una comprovata infezione urinaria o di altre patologie note”. Tra le cause note di vescica iperattiva ci sono: la menopausa, la senilità, l'obesità, infezioni delle vie urinarie, interventi uro-ginecologici, terapie farmacologiche, il fumo, la stipsi, traumi addominali e pelvici, calcoli. I sintomi sono rappresentati da: urgenza con o senza incontinenza, frequenza, pollachiuria e nicturia

La conseguenza sarà l'incapacità di controllo vescicale, che si manifesterà con:
incontinenza da urgenza: la vescica contratta diventa poco capiente ed anche poche quantità di urina provocano un fortissimo stimolo improvviso difficilmente controllabile che porta alla perdita di urina involontaria. Nello stesso momento in cui si avverte per la prima volta lo stimolo della minzione si avverte contemporaneamente anche l'impellenza minzionale e ciò non lascia il tempo sufficiente per trovare un luogo idoneo all'espletamento di questa funzione. Ci si ritrova così con l'impellenza di urinare nelle situazioni e nei luoghi meno opportuni con la consapevolezza che se non si trova un bagno entro pochi secondi, non si sarà in grado di trattenere l'urina. Inutile dire che ciò interferisce con ogni attività sociale: lavoro, viaggi, sesso, amicizie, ecc, peggiorando la qualità di vita e l'autostima.
incontinenza da sforzo: la vescica, lo sfintere uretrale ed il pavimento pelvico non riescono a contrastare l'aumento improvviso di pressione ed un colpo di tosse, uno sternuto, il sollevamento di pesi (che coinvolgono la contrazione della muscolatura addominale e l'aumento di pressione vescicale) o talvolta l'orgasmo, provocano la perdita involontaria di urina
incontinenza paradossa: in caso di contrattura dello sfintere uretrale o di scarsa attività detrusoriale (o di entrambi contemporaneamente) si ha ristagno di urina. La quantità di urina in vescica aumenta fino a riempirla completamente aumentando notevolmente la pressione al suo interno. Tale pressione spingerà l'urina all'esterno forzando addirittura la contrattura uretrale e provocando incontinenza.
ritenzione urinaria (totale o parziale) e disuria: la contrattura dello sfintere uretrale, chiudendo parzialmente o totalmente l'uretra, impedisce il passaggio all'urina, che si accumulerà ristagnando. Lo stesso restringimento provocherà disuria, cioè difficoltà a far fuoriuscire l'urina.
Pollachiuria, nicturia urgenza e frequenza: la diminuita capacità vescicale a causa della contrattura vescicale provoca minzioni impellenti, frequenti e costituite da quantità ridotte di urina. Le minzioni quotidiane possono arrivare anche a 60 distribuendosi tra il giorno e la notte, ma con maggior prevalenza durante il giorno limitando gravemente le proprie attività sociali e provocando disturbi del sonno a causa delle continue interruzioni per urinare.

 

 

Vescica iperattiva/neurologica e cistite

La relazione tra vescica neurologica o iperattiva e cistite ricorrente a questo punto è facile da comprendere. Innanzitutto il ristagno di urina che si forma favorisce la proliferazione batterica in quanto viene meno il meccanismo di difesa rappresentato dal lavaggio continuo e dallo svuotamento totale della normale minzione. Le notevoli pressioni che si instaurano a livello vescicale favoriscono il reflusso vescico-ureterale (dalla vescica agli ureteri) e quindi le infezioni delle alte vie urinarie quali nefriti e pieliti.
Il ristagno urinario favorirà la formazione di calcoli i quali a loro volta sono una concausa di infezione vescicale.
L'uso costante di assorbenti e pannoloni per far fronte all'incontinenza provoca irritazione della cute con diminuzione delle capacità di difesa dagli agenti infettivi con conseguente aumento della riproduzione batterica e maggior rischio di risalita dei batteri in uretra ed in vescica.
L'urgenza e la frequenza minzionali obbligano all'utilizzo di qualsiasi bagno senza poter scegliere quello più idoneo, quindi la minzione avviene spesso in toilette in condizioni igieniche decisamente scarse (treni, bagni pubblici, ciglio della strada, ecc); oltre alla notevole presenza batterica in questi luoghi, c'è anche il fattore “scomodità” in quanto la minzione avviene in posizioni non ideali al completo svuotamento vescicale. Le donne evitano il contatto diretto con il water e questa posizione non favorisce il rilassamento uretrale e della muscolatura pelvica con conseguente ristagno urinario e successiva infezione.
In molti casi di danno neurologico importante si è obbligati all' autocateterismo per consentire lo svuotamento vescicale. Ovviamente tale manovra comporta un alto rischio di contaminazione batterica.
Per evitare gli episodi di incontinenza da urgenza mentre si è fuori casa o in posti dove non si conosce la “mappatura delle toilette”, la soluzione errata che spesso viene presa è quella di evitare di bere per mantenere vuota la vescica. Il ridotto apporto di liquidi ed il mancato lavaggio regolare della vescica, concentrano le urine favorendo la riproduzione batterica.
Catetrismi

In questi pazienti le infezioni urinarie sono all'ordine del giorno, per alterazioni nello svuotamento vescicale, svuotamento incompleto, ritenzione completa, autocateterismi, cateterismo a permanenza. Questi pazienti spesso e volentieri non avvertono dolore, ma vedono solo i sintomi più eclatanti. Se l'infezione da sintomi come febbre, fughe urinarie (perdite, incontinenza), urine con pus, cefalea, tachicardia, ematuria, allora si deve fare terapia. Se non ci sono sintomi, ma solo rilievo laboratoristico di infezione, allora niente terapia, solo bere tanto e svuotare la vescica a intervalli regolari evitando sovradistensioni

 

Diagnosi

Anamnesi. Valuta le possibili cause del disturbo e pone le basi per una prima diagnosi in base ai sintomi descritti.
Esame obiettivo. Si valutano le condizioni neurologiche attraverso l'esplorazione addominale, del retto, degli organi genitali e del bacino.
Diario minzionale. Aiuta ad avere un quadro più completo della sintomatologia. Sul diario vengono segnate tuttele minzioni, gli orariin cui avvengono, la quantità espulsa, gli episodi di incontinenza, i cambi di pannolino o di mutande, l'eventuale dolore, il tipo di incontinenza.
Esame urodinamico (Vedi pag. xxx). Valuta la capacità minzionale, la contrazione delle muscolature pelvica, vescicale e uretrale, la qualità del getto urinario, le pressioni vescicali ed addominali, gli stimoli urinari percepiti, il ristagno urinario.
Ecografia: per valutare il residuo pst minzionale (al di sotto dei 50 ml è normale, al di sopra dei 100 si è in presenza di svuotamento incompleto) ed escludere calcoli ed altre patologie che potrebbero dare gli stessi sintomi.

 

Terapia

Farmacologica. Il campo è vastissimo e molto variabile in base alla causa neurologica di base. Gli scopi sono quelli di aumentare la contrazione muscolare laddove ci sia una scarsa o assente attività vescicale od uretrale (antidepressivi, alfa stimolanti, beta bloccanti, prostaglandine); di ridurre la contrazione laddove invece sia presente un ipertono del detrusore vescicale o dell'uretra (alfa litici, inibitori delle prostaglandine, capsaicina, resinferatossina, miorilassanti ed ansiolitici); di aumentare la capacità vescicale (antidepressivi triciclici, beta stimolanti); di diminuire il dolore (antidepressivi); ridurre l'urgenza e la frequenza (antidiuretici), riparare i danni uretrali e vescicali tramite istillazioni locali (collagene, silicone, tossina botulinica ed acido ialuronico)
Neuromodulazione sacrale. Viene impiantato sotto la cute del gluteo un piccolo apparecchio che attraverso elettrodi stimola i nervi che fuoriescono dalle vertebre più basse (le vertebre sacrali) ottenendo il miglioramento della coordinazione tra vescica, sfintere uretrale e pavimento pelvico . Inoltre la neuromodulazione diminuisce il dolore pelvico e migliora l'incontinenza fecale.
Riabilitazione del pavimento pelvico (Vedi pag xxx). L'allenamento del pavimento pelvico riesce a compensare (a volte in parte e più di rado totalmente) il deficit neurologico. La capacità acquisita di contrarre il pavimento pelvico aiuta a contrastare la fuoriuscita di urina. Inoltre la riabilitazione insegna ad ignorare lo stimolo impellente aumentando gli intervalli tra una minzione e l'altra
Agopuntura
Chirurgia. Viene allargata la vescica per aumentarne la capacità, utilizzando il tessuto intestinale. E'una metodologia molto invasiva che viene sempre meno utilizzata a favore di altre tecniche quale l'applicazione di una specie di rete attorno all'uretra per stabilizzarne la contrazione. Questo intervento può essere effettuato in day hospital in anestesia locale.

 

Bibliografia

      • "La neurochiruria della spasticità", A. Lavano, edizioni Nuova Cultura, 2013, pagg 71-76
      • “Tutte le novità terapeutiche contro la vescica iperattiva”, Ufficio stampa del XXIX Congresso nazionale SIUD - Società Italiana di Urodinamica (Orvieto) 2005.
      • studiourologicogallo.it
      • Di Benedetto, Delneri, Gottardo, Zampa, Iona“Il trattamento farmacologico”,Azienda per i Servizi Sanitari n. 4 “Medio Friuli”,Istituto di Medicina Fisica e Riabilitazione Dipartimento di Medicina Riabilitativa Udine
      • Fegiz, Marrano, Ruberti "Manuale di chirurgia generale vol II terza edizione del manuale di patologia chirurgica fondato da Ceccarelli. Piccin
      • Università degli studi di Roma "Tor Vergata" facoltà di medicina e chirurgia dottorato di ricerca in: "Terapie avanzate in chirurgia e riabilitazione del pavimento pelvico femminile" La neuromodulazione sacrale nelle disfunzioni del pavimento pelvico Dott. Massimiliano Agostino

Col termine stenosi uretrale si intende la riduzione del diametro dell'uretra o la sua parziale o totale ostruzione con conseguente difficoltà al decorso dell'urina verso l'esterno. Nella donna la sede più frequente di ostruzione è la parte terminale dell'uretra.
Associata alla stenosi spesso vi è l'uretrocele, ossia la dilatazione dell'uretra conseguente alla strozzatura, che, non permettendo il passaggio dell'urina, fa aumentare la pressione nella porzione uretrale sovrastante provocando lo sfiancamento delle pareti.

 

stenosi

I sintomi

I sintomi dovuti alla stenosi sono: flusso sottile con getto debole e/o bifido (si divide in due) durante la minzione, allungamento della durata della minzione, sensazione di mancato svuotamento al termine della minzione, sgocciolamento post-minzionale, minzione in più tempi, necessità di spingere o di schiacciare l'addome per far fuoriuscire l'urina. Possono comparire anche: dolore urinario, frequenza, dolore sovrapubico, sangue nelle urine.

Se l'ostruzione è molto rilevante si può avere incontinenza paradossa (il ristagno di urina diventa notevole, la pressione che si forma supererà la capacità della stenosi di trattenerla e comincerà a traboccare).

Se l'ostruzione è totale la vescica non si riuscirà a svuotare e l'urina continuerà ad aumentare esercitando sempre più pressione nel serbatoio vescicale. A tale pressione i meccanismi antireflusso, che impediscono all'urina di risalire dalla vescica agli ureteri, non riusciranno a resistere e l'urina risalirà fino ai reni. Ciò provocherà infezione renale ed idronefrosi (il rene cioè si riempie di urina che non riesce ad essere espulsa), con conseguente insufficienza renale se non trattata urgentemente.

 

Le cause

Varie possono essere le cause della stenosi

  • malformazioni congenite (rare): si nasce già con un restringimento uretrale, la stenosi non è conseguente ad altri fattori;

  • manovre strumentali invasive frequenti e continue come cateterismi, calibrazioni uretrali, uretro/cistoscopie (che creano microlesioni, che riparandosi formano tessuto cicatriziale duro e spesso);

  • vulvodinia o infezioni vulvari croniche (che aumentano lo spessore delle pareti uretrali in corrispondenza dell'orifizio esterno);

  • tumori uretrali (la massa tumorale occlude il canale uretrale);

  • compressione dell'uretra da parte di una pressione esterna (per esempio provocata da un tumore o un fibroma vaginale, dal feto in gravidanza, della contrattura muscolaredel pavimento pelvico);

  • calcoli (che occludono il passaggio uretrale) e renella (che graffia e infiamma le pareti uretrali al suo passaggio aumentandone il volume)

  • cistiti ricorrenti.

 

La stenosi e la cistite

La stenosi può essere sia causa che conseguenza di un'infezione delle vie urinarie. Infatti la stenosi impedisce un completo svuotamento vescicale con conseguente ristagno di urina. Di conseguenza anche la minima carica batterica presente avrà tutto il tempo necessario alla riproduzione e colonizzazione delle pareti vescicali.

Inoltre il flusso urinario in caso di stenosi, non è lineare. Il restringimento provoca un flusso vorticoso e turbolento, causa di irritazione ed infiammazione costante e prolungata delle pareti uretrali. A sua volta la parete così danneggiata è più vulnerabile all'aggressione dei batteri. Il tessuto riparato in seguito alle continue infezioni e infiammazioni sarà un tessuto cicatriziale/fibrotico, quindi più rigido e spesso. Ciò aumenterà ulteriormente la gravità della stenosi.

Per interrompere questo circolo vizioso è necessario rimuovere la causa della stenosi o la stenosi stessa.

 

La diagnosi

Gli esami utili a diagnosticare una stenosi uretrale sono: diario minzionale, uroflussometria, esame urodinamico, uretrografia retrograda con mezzo di contrasto, uretroscopia, ecografia uretrale perminzionale.

 

La terapia

Le terapie ed i trattamenti variano in base alla causa.

  • Calibrazione uretrale
    Vengono introdotti in uretra cateteri rigidi dal diametro gradualmente sempre più grosso per far sì che l'uretra venga dilatata. Perché non si riformi la stenosi bisogna sottoporsi regolarmente a calibrazioni. Inoltre il dilatatore, ad ogni passaggio provoca microlesioni, che riparandosi formano tessuto cicatriziale, che va ad incrementante la stenosi stessa.
  • Terapia chirurgica
    Con l'uretroplastica viene incisa l'uretra in corrispondenza della stenosi ed inserito tessuto preso dalla vagina per allargare il diametro uretrale. L'intervento dura 20 minuti e può essere effettuato in anestesia spinale (non totale).

    In caso di stenosi dovuta a tumori si procede con la rimozione chirurgica che può essere endoscopica (con cistoscopio) o a cielo aperto (si arriva alla neoformazione tramite un taglio sull'addome) in base alla grandezza ed alla tipologia dell'elemento da rimuovere.

    Le terapie chirurgiche hanno il grosso svantaggio di provocare tessuto cicatriziale fibrotico (nel caso dell'uretroplastica anche a livello vaginale). Inoltre, come per le calibrazioni uretrali, non sempre sono efficaci.

    “interpello il Professore e decido di sottopormi all'intervento, che prevede anche l'eliminazione di una stenosi al meato uretrale, intervento effettuato presso il Policlinico Gemelli di Roma. A distanza di 5 mesi dall'intervento, torno a fare una vita del tutto regolare, e per 6 mesi non si presenta più alcun episodio di cistite, nè legato ai rapporti, nè per altre cause; ebbene, ho pensato di avere trovato una soluzione al problema, ma l'illusione è durata il tempo dei 6 mesi, dopodichè la cistite è ricomparsa; da notare, che ora non è più collegata ai rapporti, ma si scatena senza cause apparenti.”
    Meg 17/10/2010 (cistite.info)
  • Terapia farmacologica
    Gli “alfa-litici” (Pradif® Omnic®, Mittoval®, Tamlic®, Xatral®,ecc.) migliorano la coordinazione tra il muscolo detrusore ed il collo vescicale e riducono la contrazione uretrale favorendo lo svuotamento della vescica. In questo modo viene ridotto il ristagno urinario ed il rischio di infezioni. Lo svantaggio è legato agli effetti collaterali del farmaco.

 

E se non fosse una stenosi uretrale?

La stenosi femminile sarebbe un evento piuttosto raro se non passassero come stenosi anche le contratture muscolari pelviche, presenti in moltissime persone affette da cistite ricorrente. In questi casi vengono proposte le dilatazioni uretrali e le terapie farmacologiche, che purtroppo risultano inefficaci in quanto gli effetti potranno esser solo temporanei finché non si elimina la morsa data dalla contrattura muscolare attorno all'uretra.

Per ridurre la contrattura muscolare si sono dimostrati efficaci terapie come ginnastica vescicale, riabilitazione pelvica, biofeedback, terapie decontratturanti, farmaci miorilassanti, automassaggi, TENS, calore.

“ho riletto con più attenzione la tua storia e quando dici dei fastidi che hai dopo aver urinato dovuti ad una contrattura del pavimento pelvico,mi sono ritrovata molto nelle tue parole!A me con l'esame urodinamico,quel medico assurdo mi aveva detto che mi dovevo operare perchè avevo una stenosi uretrale,In realtà il fatto che la mia pipì uscisse con difficoltà era vero,ma dopo aver cambiato medico e fatto la cistoscopia la stenosi uretrale non fu confermata!E' stato l''urologo che mi ha fatto la cistoscopia a mandarmi a fare riabilitazione del pavimento pelvico dicendomi che avrei risolto gran parte dei miei fastidi. All'inizio ero molto scettica in verità,ma faccio la terapia da un mese e i risultati comincio a vederli”
Icca78 15/09/2011 (cistite.info)
“Anche a me era stata ipotizzata stenosi ma per fortuna io sono riuscita a sfuggire alla cistoscopia e alle torture uretrali. E infatti poi la mia stenosi altro non era che una contrattura pelvica.”
Francy77 03/11/2011 (cistite.info)

 

Bibliografia

  1. “Disturbi ostruttivi minzionali nella donna candidata al trapianto renale, ruolo dell'infermiere dedicato” Lombardi, Ceratti, Morellini, Cornella, Barbè, Kocjancic, Frea, Stratta, dal Giornale di tecniche nefrologiche & dialitiche, anno XVII n°1, Wichtig editore, 2005
  2. “Il trattamento farmacologico” P. Di Benedetto, C. Delneri, R. Gottardo, A. Zampa, L. G. Iona. Azienda per i Servizi Sanitari n. 4 “Medio Friuli” Istituto di Medicina Fisica e Riabilitazione Dipartimento di Medicina Riabilitativa Udine
  3. “Fistole” P. Cervone da www.bambinineldeserto.org
  4. “Chirurgia delle malformazioni urinarie e genitali” R. Domini. R. De Castro Piccin pagg 313—323, 429-- 432
  5. http://medicinasalute.com/curare/malattia/diverticoli-vescicali/
  6. “Comparison of Two Diets for the Prevention of Recurrent Stones in Idiopathic Hypercalciuria” L. Borghi, T. Schianchi, A. Guerra, F. Allegri, U. Maggiore, A. Novarini, da New England Journal of Medicine, Volume 346:77-84 10 gennaio 2002, Number 2
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L'incontinenza urinaria non è una malattia ma una “condizione” che può insorgere a qualsiasi età, conviverci non è una cosa semplice, poichè limita pesantemente la qualità di vita e può diventare un problema invalidante.

 

 

 

Epidemiologia

I disturbi della vescica coinvolgono molte donne adulte e l'incontinenza urinaria (IU) interessa quasi il 50% della popolazione femminile. Si stima che in Europa siano oltre 36 milioni le persone colpite da incontinenza ed il 60% sono donne. In Italia il fenomeno riguarda circa 3 milioni di donne e 2 milioni di uomini.

L'incontinenza è una condizione stgmatizzante in molte popolazioni, la qual cosa crea un rischio di corrispondenza solo parziale nel valutare la sua epidemiologia.
Probabilmente a causa della sensazione di "inadeguatezza" o vergogna che questa condizione comporta nel paziente, la richiesta di intervento/consultazione e' inferiore alla realta'. Spesso la  richiesta di assistenza per incontinenza emerge dopo una visita richiesta per altri motivi.

 

 

Sintomi

I sintomi dell'incontinenza si manifestano in genere con sforzo fisico o aumenti temporanei della pressione intra-addominale. In tali casi gli starnuti, il sollevamento di oggetti pesanti, la attività fisica, le risate, il cambiamento di posizione possono causare una perdita involontaria di urine. Questo tipo di incontinenza viene definita Incontinenza Urinaria da Stress (IUS).
La IUS raramente si manifesta durante il sonno, a meno che una tosse insistente o altre cause di rapido aumento della pressione addominale non siano presenti. Le donne che affermano che "giorno e notte sono uguali riguardo alla incontinenza" oppure "la notte è peggiore" hanno meno probabilità di richiedere un intervento chirurgico.

Una donna affetta da incontinenza spesso è soggetta per questa patologia a isolamento, deflessione dell’umore, depressione, mancata socializzazione.

L'anamnesi dei sintomi può guidare la diagnosi probabile e la terapia raccomandata.

Come avviene la minzione

 

Cause

Una maggiore incidenza viene osservata nel periodo della menopausa a causa della ridotta produzione di estrogeni, ma l'età non è l'unica causa.

L'obesita' rappresenta un riconosciuto fattore di rischio (BMI), e la severita' della incontinenza mostra una associazione con l'aumento di peso, che comporta aumento della pressione addominale.
D'altra parte la sindrome metabolica associata alla obesita' predispone alla incontinenza da urgenza.

L'incontinenza da sforzo appare correlata anche al numero dei parti spontanei, alle modalità' del loro espletamento. Il parto infatti può provocare un danno permanente da iperdistensione della fascia pelvica e il travaglio uno stiramento delle strutture muscolo-fasciali di sostegno.

Anche l'isterectomia è spesso causa di incontinenza per la perdita del supporto pelvico di sostegno della vescica.

L'incontinenza in menopausa

 

Tipi di incontinenzaPorru2

L'incontinenza può essere suddivisa in due sottotipi: incontinenza urinaria da stress (IUS, che provoca perdite in seguito ad uno sforzo) e incontinenza urinaria da urgenza (IUU, detta anche vescica iperattiva, che provoca perdite perché il muscolo della vescica si contrae fortemente in momenti inappropriati). Questi due tipi possono coesistere nella stessa paziente, si parla in questo caso di incontinenza urinaria mista (IUM).

Storicamente, la IUS femminile è stata suddivisa nei tipi I, II e III, come segue:

  1. La IUS di tipo I è definita come perdita di urina che si verifica in assenza di significativa ipermobilità uretrale o deficit intrinseco dello sfintere uretrale. Questa è la forma più lieve di SUI.
  2. La IUS di tipo II è definita come perdita di urina che si verifica a causa di ipermobilità uretrale. Questa è anche nota come vera incontinenza urinaria da sforzo (GSUI). (Fig.2-3)
  3. La IUS di tipo III è definita come perdita di urina che si verifica a causa di un deficit intrinseco dello sfintere (ISD). L'ISD è una forma più severa e più complessa di IUS femminile.

Le sottocategorie di IUS femminile possono essere accertate tramite esame fisico diretto e mediante esame urodinamico misurando una pressione del punto di perdita addominale (ALPP). L'ALPP, nota anche come pressione di Valsalva o del punto di perdita da stress, è definita come la pressione addominale più bassa necessaria per causare la perdita di urina.
I tipi di incontinenza appena elencati sono indicati solo a scopo descritivo e storico. Un tempo ritenuti due componenti separati, l'ipermobilità uretrale e l'ISD sono ora riconosciuti come gradi diversi di una medesima condizione poiché l'esperienza recente suggerisce che lo sling uretrale permette di trattare tutt i tipi di SUI, pertanto le pressioni del punto di perdita non devono essere stratificate come in passato. Le raccomandazioni terapeutiche oggi si basano generalmente sulla presenza di uno due sottotipi di IU: incontinenza urinaria da stress (IUS) e incontinenza urinaria da urgenza (IUU).

 

Diagnosi

Poiche’ come anticipato la natura stigmatizzante dell'incontinenza urinaria rappresenta un freno alla sua rivelazione, il medico svolge un ruolo importante nel fornire un supporto ed uno spazio sicuro per discutere i sintomi ed aiutare ad affrontare la loro soluzione. Ad esempio, piuttosto che porre una domanda diretta sulla incontinenza, che richiede la sua ammissione e descrizione durante le visite in studio, un medico può semplicemente includere dichiarazioni come

"Molte donne hanno problemi di controllo della vescica - se si verifica questo, per favore me lo faccia sapere perché ci sono cose semplici che può fare per rimediare "

Ciò può facilitare i tempi e le circostanze del trattamento della IU.

Nella maggior parte delle donne affette da IU, la valutazione graduale dovrebbe confrontarsi con le preferenze e gli obiettvi della paziente per l'identificazione, la valutazione, l'inizio del trattamento e la probabile terapia.

Prima di semplici modificazioni comportamentali è possibile iniziare una prima valutazione di minima, che comprende la storia dei sintomi, l'assunzione di liquidi, la dinamica di vuotamento vescicale e test per verificare la presenza di infezioni del tratto urinario (cistite).

La diagnosi viene quindi posta attraverso:

  • anamnesi specifica orientata alla patologia in atto, storia neurologica, prolasso genitale, numero e modalità dei parti, interventi chirurgici pregressi, numero degli assorbenti o pannolini usati al giorno e tipo (piccolo, medio, pannolone-mutanda);
  • esame obiettivo pelvico, stress test, in caso di prolasso vescicale/vaginale (parete vaginale anteriore, cupola, parete posteriore) il prolasso deve essere ridotto prima della esecuzione dello stress test e dell’esame urodinamico;
  • imaging e esame urodinamico permettono una visualizzazione dinamica di uretra e vescica in condizioni di prolasso e incontinenza urinaria.

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Terapia

La terapia può avvalersi di più scelte:Porru1

  • riabilitativa: biofeedback, riabilitazione pelvi-perineale, stimolazione elettrica funzionale
  • medica: farmacologica
  • neuromodulatoria: tibiale e sacrale
  • chirurgica: sling, TVT, TOT, minisling.


Riabilitazione pelvica

Le soluzioni per l'incontinenza da stress (perdite durante colpi di tosse, starnuti, sollevamenti o salti) mirano a contrarre l'uretra di fronte a una pressione aumentata. "Rafforzare" i muscoli del pavimento pelvico può aiutare a tenere chiusa l'uretra, ma molte donne non sanno come contrarre correttamente i muscoli del pavimento pelvico. Lavorare con un terapista del pavimento pelvico non è sempre un'opzione facile per alcune persone, tuttavia esistono dispositivi che possono essere utilizzati a casa per aiutare le donne ad apprendere come contrarre correttamente i muscoli (biofeedback). La terapia pelvica si esegue in sedute cliniche, ma sono disponibili online diverse versioni portatili per uso domestico.
Gli esercizi pelvici possono ridurre l'incontinenza del 50% o più, alcune donne rimangono completamente asciutte con la loro pratica, ma molte donne hanno bisogno di aiuto e una guida per eseguirli.

Esercizi per i muscoli del pavimento pelvico

Farmaci

La vescica iperattva, o incontinenza urinaria da urgenza (IUU), porta a perdite perché il muscolo della vescica si contrae fortemente in momenti inappropriati. Gli anticolinergici/antimuscarinici come l'ossibutinina sono stati utilizzati per decenni per controllare queste contrazioni rilassando il muscolo della vescica. A causa delle recenti preoccupazioni sulla associazione con il deterioramento cognitivo dopo un uso a lungo termine con questa molecola per il passaggio attraverso la barriera emato-encefalica sono state sviluppate altre molecole che non hanno effetti collaterali di questo tipo, come la solifenafina, il trospio cloruro, la tolterodina, la propiverina e la fesoterodina, che possono tuttavia comportare a volte stipsi e secchezza delle fauci. Una nuova classe di farmaci, gli agonisti beta-3-adrenergici, come il mirabegron, non è stata dimostrata avere la associazione con il deterioramento cognitivo e questa classe è ora utilizzata più frequentemente per trattare la vescica iperattiva.
Porru4

Un'altra opzione farmacologica, indicata nei casi refrattari al trattamento farmacologico, è la tossina botulinica A Iniettata nella vescica, questa neurotossina può alleviare l'urgenza e la frequenza rilassando il muscolo della vescica, per un intervallo di tempo variabile tra 6 e 12 mesi.

La vescica iperattiva

Neuromodulazione

Porru5Anche la neuromodulazione periferica (stimolazione percutanea del nervo tibiale), una procedura ambulatoriale non invasiva, e la neuromodulazione sacrale rappresentano una possibile scelta di terapia, la seconda da riservare ai casi di incontinenza da urgenza refrattaria a tutte le altre tecniche riabilitative e terapie farmacologiche elencate.
La neuromodulazione sacrale comporta l’impianto di un elettrodo sacrale, inserito sterilmente in anestesia locale nel forame sacrale. Dopo un test temporaneo preliminare a seconda della risposta ottenuta sul controllo della incontinenza ottenuto in un secondo tempo si valuta la indicazione all’impianto definitivo di un piccolo dispositivo sovragluteo.

La neuromodulazionne scrale e la stimolazione del nervo tibiale

Chirurgia

Il prolasso degli organi pelvici (POP) e la IU possono verificarsi entrambi oppure singolarmente. Il trattamento chirurgico del solo POP (prolasso degli organi pelvici) può slatentizzare i sintomi  dell'incontinenza, in particolare la IUS; pertanto, la valutazione pre-intervento della IU si rende necessaria nelle donne da valutare per trattamento chirurgico del POP.
Porru6

La chirurgia, in particolare gli sling medio-uretrali, è molto efficace per le donne con IUS refrattaria al trattamento conservativo di tipo riabilitativo. Per le donne con incontinenza mista (e prevalente componente da sforzo) gli sling medio-uretrali rimangono una terapia di prima linea che può essere proposta perché forniscono un miglioramento dei sintomi per entrambe le componenti della IU. Sono numerosi gli studi che dimostrano l'efficacia e la sicurezza, con bassi tassi di reintervento.

 

Bibliografia

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vescica

 

L'apparato urinario

L'apparato urinario è composto (partendo dall'alto) da: reni, ureteri, vescica, uretra.

vescica

I reni depurano il sangue agendo da filtri all'interno dei quali esso scorre. In sostanza i reni agiscono come un colino che trattiene le parti più grosse (come i globuli rossi e le proteine) e lascia passare le parti più piccole: liquidi e sali in eccesso, sostanze tossiche introdotte e prodotti di scarto del metabolismo.
I reni trasformano questi rifiuti del nostro corpo in urina che viene riversata negli ureteri, cioè nei due condotti che collegano i reni alla vescica (uno esce dal rene sinistro ed uno dal rene destro).

L'urina viene quindi immagazzinata nella vescica, che, una volta piena, la espelle all'esterno attraverso l'uretra, un condotto che ha una lunghezza di 3-4 cm circa nella donna e 18-20 cm nell'uomo. L'uretra ha due aperture chiamate orifizi (vedi Fig.1): un orifizio interno (o superiore) che collega la vescica all'uretra e un orifizio esterno (o inferiore) che sbocca nella vulva (o sul glande nell'uomo).

La vulva è la parte esterna dei genitali femminili e comprende: perineo, grandi e piccole labbra, clitoride, monte di Venere, orifizio vaginale, orifizio uretrale, vestibolo vaginale.

 

Dov'è posizionata la vescica

posizione vescica

La vescica si trova nella cavità pelvica. Sopra di essa, anteriormente poggia l'intestino. L'intestino è avvolto dal peritoneo, una doppia membrana che lo separa dagli organi uro-genitali.

Posteriormente alla vescica femminile vi è l'utero (che fa piegare leggermente in avanti la vescica) e più in basso la vagina, che scende parallela all'uretra. In caso di utero retroverso l'utero non seguirà la normale direzione verso avanti (come nell'illustrazione 3), ma sarà ribaltato indietro.

 

Com'è fatta la vescica (anatomia)

La vescica è una cavità virtuale: in assenza di urina appare come un palloncino sgonfio. La sua forma pertanto varia in base al suo riempimento e alle dimensioni degli organi vicini (intestino, retto, vagina, utero, intestino). Più questi saranno voluminosi (a causa di stipsi, gravidanza, fase premestruale, infiammazioni, contrattura muscolare, ecc) e meno spazio avrà la vescica per espandersi.

La parte superiore della vescica si chiama cupola, quella posteriore fondo (o base). Sul fondo è presente il trigono vescicale, cioè la zona triangolare compresa tra i due orifizi ureterali inferiori (che sboccano nella vescica poco sotto la metà della parete posteriore) e l'orifizio uretrale interno nella parte più bassa della vescica (Fig 1).

Trigono, uretra e vagina, avendo la stessa origine embrionale, sono composti dallo stesso tipo di tessuto (chiamato pavimentoso). Di conseguenza trigono, uretra e vagina sono influenzabili dalle variazioni degli ormoni sessuali.

 

Com'è fatto il tessuto vescicale (istologia)

parete vescicaleEscludendo il trigono, la parete vescicale è composta da tessuto chiamato pluristratificato, cioè fatto da diversi strati, ognuno con una sua funzione:

  • Urotelio (o epitelio a cellule transizionali). E' lo strato più interno, direttamente a contatto con l'urina. Quando la vescica è vuota l'urotelio è composto da numerose pieghe, che si distenderanno man mano che la vescica si riempie di urina. L'urotelio è composto da diversi strati di cellule.
    Il numero di strati varia in base al tratto che rivestono: dai calici renali alla vescica sono presenti 6/9 strati, mentre nell'uretra molti di meno. A livello vescicale il numero di strati varia in base a quanto è piena la vescica: più si riempie e più scorrono l'uno sull'altro diminuendo lo spessore dell'epitelio in favore dell'aumento della superficie. Così se a vescica vuota gli strati cellulari arrivano a 7, in condizioni di vescica piena diminuiscono a 2-3 assottigliando molto la parete vescicale. Le cellule più superficiali (quelle a contatto con l'urina, chiamate cellule ad ombrello per la loro forma appiattita) sono le più vecchie e degenerando sono destinate a staccarsi (cellule di sfaldamento) per lasciare il posto a quelle più nuove in un continuo rinnovamento della parete vescicale. Da qui il nome “transizionale” dato all'urotelio.
    Sulle cellule dell'epitelio sono presenti i GAG (GlucosAminoGlicani), che rendono impermeabile l'urotelio. L'impermeabilità, oltre a non permettere all'urina di essere riassorbita dai vasi sanguigni e reimmessa nel circolo sanguigno, protegge gli strati cellulari sottostanti (più fragili, immaturi e sensibili) dall'aggressione dell'acidità urinaria, dei batteri e delle sostanze irritanti presenti nel liquido urinario.
  • Lamina propria (o membrana basale). Al di sotto dell'urotelio vi è uno strato ricco di terminazioni nervose, vasi sanguigni e vasi linfatici, che portano sensibilità, nutrimento ed ossigeno a tutta la vescica. Recentemente è stato dimostrato che anche nell'epitelio sono presenti terminazioni nervose.
  • Detrusore. Lo strato più esterno della vescica è quello muscolare, responsabile della contrazione vescicale durante la minzione.

Bibliografia

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  2. “Anatomia umana” G. Goglia, Piccin 1999, pagg 498/504
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  7. “Anatomia e fisiologia per infermieri” G. Goglia, Piccin 1987, pagg 225/236
Nefrite e pielonefrite causate da cistite

La nefrite e la pielonefrite sono infezioni renali provocate da germi patogeni, spesso correlate con la cistite.

Se l'infezione si limiterà agli ureteri (i due canali che collegano la vescica ai 2 reni) si avrà ureterite, se arriverà ai calici (i condotti a forma di imbuto che raccolgono l'urina prodotta dal rene) si avrà pielite. Se interesserà il tessuto renale si avrà nefrite. Di solito non c'è nefrite senza pielite, quindi l'infezione prende il nome di pielonefrite. Se invece l'infezione riguarda sia la vescica che i reni  avremo una cistopielite o cistopielonefrite

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Queste infezioni vengono anche chiamate infezioni delle alte vie urinarie per distinguerle dalle uretriti e dalle cistiti, considerate infezioni della basse vie urinarie.

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Cause della pielonefrite

La causa principale della pielonefrite è la cistite?

L'80% delle infezioni renali sono causate da batteri Gram-, spesso Escherichia coli.
Questi germi possono arrivare al rene per via ascendente (risalendo dalla vescica) o per via discendente (attraverso il sangue o i vasi linfatici).

Nonostante la via ascendente sia la causa più frequente di infezione renale, bisogna sottolineare che le pielonefriti sono comunque complicanze piuttosto rare della cistite. Infatti i meccanismi antireflusso presenti tra la vescica e gli ureteri, in assenza di malformazioni e patologie sono in grado di impedire la risalita dell'urina infetta verso il rene anche in presenza di alte pressioni all'interno della vescica, che spingono verso l'alto, dovute per esempio alla quantità elevata di urina presente o ad una forte pressione esercitata dall'esterno sull'addome.

Un difetto di questi meccanismi antireflusso aumenterà la possibilità che l'urina infetta risalga verso gli ureteri e che da qui l'infezione si propaghi rapidamente al rene. In questo caso il rischio di sviluppare pielonefrite in corso di cistite sarà più elevato.

Le specie batteriche responsabili di cistiti solitamente sono diverse da quelle responsabili di pielonefrite. Questo è un altro motivo per cui è raro che un'infezione vescicale si trasformi in infezione renale.

Anche un'ostruzione a livello dell'uretra (il canale che collega la vescica con l'esterno) potrebbe favorire una pielonefrite. In questo caso infatti l'urina non riuscirebbe ad essere espulsa a causa dell'intoppo (per esempio da calcoli, stenosi o tumori) e si accumulerebbe in vescica aumentando notevolmente la pressione al suo interno. Tale pressione continuerebbe ad aumentare fino a superare la resistenza dei meccanismi antireflusso che a questo punto cederebbero consentendo la risalita verso i reni dell'urina, che se infetta provocherà pielonefrite, se sterile idronefrosi.

La pielonefrite può anche essere dovuta ad agenti tossici non infettivi quali: farmaci (antinfiammatori, antidolorifici, antibiotici aminoglicosidici, ecc), metalli (mercurio, piombo, ferro, arsenico, ecc), erbicidi, pesticidi e mezzi di contrasto radiografici. In questo caso non ci sarà infezione, ma solo infiammazione del tessuto renale.

 

Relazione tra cistite e pielonefrite

La cistite può causare pielonefrite?

La probabilità che una cistite possa provocare pielonefrite è molto bassa.
Nel nostro foum abbiamo visto migliaia di episodi di cistite e tra questi meno di una decina si sono evoluti in pielonefrite.

Uno studio italiano del 2011 ha seguito per 12 mesi 673 donne con batteriuria asintomatica. Metà delle donne furono trattate con antibiotici e metà non ricevette alcuna terapia. Tra le 673 donne partecipanti allo studio solo 3 donne svilupparono pielonefrite: due nel gruppo sottoposto ad antibiotici e una nel gruppo non trattato. Questo studio mette in evidenza quanto sia raro, in assenza di fattori predisponenti, il passaggio dei batteri dalla vescica ai reni anche in assenza di terapia antibiotica.

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Sintomi della pielonefrite

I sintomi principali di un'infezione renale sono: febbre elevata (39°/40°), astenia (debolezza estrema), dolore al fianco o nella zona lombare della schiena, nausea e vomito. Altri sintomi che possono accompagnare una pielonefrite sono: dolori addominali, brividi, ematuria (sangue nelle urine), condizioni generali scadenti, diarrea, aumentata sensibilità della zona cutanea lombare sul lato del rene interessato. Solo in un terzo dei casi sono presenti anche i tipici sintomi della cistite.

 

Diagnosi della pielonefrite

La diagnosi di infezione urinaria può essere posta sulla base dell'esame delle urine, che può rilevare: proteine (cilindri), sangue, leucociti, batteri e pus.

La diagnosi viene confermata dalla manovra di Giordano: viene dato un colpetto con la mano di taglio sulla zona lombare sinistra e destra. Se la manovra scatena forte dolore vuol dire che c'è sofferenza renale.

 

Terapia della pielonefrite

La pielonefrite acuta, curata con antibiotici mirati in base all'antibiogramma, di norma guarisce con restitutio ad integrum, cioè senza lasciare danni.
In casi più isolati l'infezione renale guarisce lasciando una cicatrice, che a sua volta diventa fattore predisponente di recidive.

 

Pielonefrite cronica e insufficienza renale

Di norma la pielonefrite acuta non cronicizza. La cronicizzazione avviene solo in presenza di altri fattori predisponenti specifici (malformazioni anatomiche, calcoli renali, difetti dei meccanismi antireflusso tra vescica ed uretere, diabete, gotta, ecc.) e può precludere la normale funzionalità dell'organo con conseguente progressiva distruzione del tessuto renale.

La pielonefrite cronica nella maggior parte dei casi non è dovuta a batteri e si manifesta da subito come cronica, con una sintomatologia meno evidente di quella acuta: spossatezza, inappetenza, pallore, sete, poliuria.

Anche se la pielonefrite cronica interessa quasi sempre un solo rene, rappresenta comunque un evento patologico grave perché a causa dell'ipertensione arteriosa (pressione alta) che ne consegue, può compromettere la funzionalità del rene opposto dando origine all'insufficienza renale cronica.

L'unica terapia possibile in caso di insufficienza renale è la dialisi, una grossa macchina esterna al Paziente, che si sostituisce ai reni malati. A giorni alterni tutto il sangue del Paziente dovrà passare attraverso questo filtro artificiale per poter essere depurato e l'intero procedimento richiede ore di trattamento. Per questo motivo la dialisi compromette la qualità di vita del Paziente.

 

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  9. “Anatomia patologica clinica” M. Raso, Vol II, Piccin editore
  10. “Cistite pseudomembranosa: ha senso parlarne ancora oggi?” M. Larosa, F. Facchini, G.L. Pozzoli, B. Monica. Dagli atti del 56° convegno nazionale di Saint Vincent della società degli urologi del nord italia. Volume 75 n. 2, S-10 
  11. “Tamm-Horsfall protein: a multilayered defence molecule against urinary tract infection” M.D. Säemann, T. Weichhart, W. H. Hörl, G. J. Zlabinger, Medical University of Vienna, Vienna, Austria.1, Eur J Clin Invest. 2005 Apr;35(4):227-35
  12. “Il dosaggio della glicoproteina di Tamm-Horsfall: sfizio nefrologico o strumento diagnostico?” M. Marangella, M. Petrarulo, C. Bagnis, S. Berutti, C. Vitale, A. Ramello, UO Nefrologia Dialisi e Centro Calcolosi Renale, Ospedale Mauriziano Umberto I di Torino
  13. “Valutazione del ruolo della batteriuria asintomatica nella prevenzione delle recidive sintomatiche nelle giovani donne affette da UTI ricorrenti...” F. Meacci, T. Cai, N. Mondaini, L. G. Luciani, D. Tiscione, G. Malossini, S. Mazzoli, R. Bartoletti, 84°congresso nazionale SIU, Roma 23-26 ottobre 2011
Metaplasia della vescica

La metaplasia, chiamata anche cistite trigonale, trigonite pseudomembranosa, trigonite granulare, o uretrotrigonite, è un insieme di placche bianco-grigiastre in rilievo (tipo gli Appennini su un plastico geografico tridimensionale). Queste placche interessano prevalentemente il trigono vescicale (la parte posteriore ed inferiore della vescica). 
La metaplasia può e dovrebbe essere considerato un tessuto vescicale fisiologico.

La normale e non patologica metaplasia, in risposta ai continui stimoli irritanti infettivi, estrogenici, infiammatori e meccanici, può però trasformarsi in un tessuto cheratinizzato, cioè duro, ispessito e senza elasticità: la leucoplachia.

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Metaplasia

Il trigono, l'uretra e la vagina hanno la stessa origine embrionale, pertanto i tessuti di queste tre strutture saranno molto simili. Essendo molto simile al tessuto squamoso vaginale, il tessuto del trigono sarà molto suscettibile alla variazione degli estrogeni durante il ciclo mestruale e diventa più spesso e più evidente a causa di vari stimoli irritativi cronici: ormonali, chimici, infettivi, meccanici. E' stato evidenziato infatti che la somministrazione di estrogeni causa l'ispessimento del trigono e l'estensione delle placche. La metaplasia, infatti, insorge in donne fertili (quando la quantità di estrogeni è massima, è assente prima dell'adolescenza, è rarissima negli uomini, diminuisce o scompare con la menopausa, varia durante le fasi del ciclo mestruale, parallelamente a ciò che avviene nel tessuto vaginale.

Si deve perciò considerare la metaplasia come un reperto normale e non patologico.
In uno studio su vesciche di cadaveri, il 72% presentava un trigono con aree di metaplasia squamosa, suggerendo che la metaplasia è una rilevazione frequentissima anche in chi non ha sintomi urologici.

Se si sottoponesse ogni donna asintomatica a cistoscopia, risulterebbe, che tantissime hanno metaplasia del trigono più o meno marcata. E questo è indice dell'innocuità della metaplasia. Una donna sana però non farebbe mai una cistoscopia, quindi questo dato non emerge, mentre coloro che la subiscono hanno sempre sintomi urologici; di conseguenza viene attribuita alla metaplasia la responsabilità dei disturbi riportati dalla Paziente. Così viene diagnosticata “trigonite” (ricordo che la desinenza “ite” indica infiammazione), sebbene non sia presente alcun segno infiammatorio, che verrà successivamente trattata con antinfiammatori, cortisonici ed elettrocoagulazione, pur non essendo assolutamente necessari.

Gli urologi Larosa. Facchini, Pozzoli e Monica scrivono:

“...i termini metaplasia squamosa non cheratinizzante o metaplasia vaginale del trigono sono “etichette” improprie ed esprimono la nostra incapacità di riconoscere che la presenza di epitelio vaginale sulla mucosa del trigono o dell’uretra rappresenti una condizione normale; questa incapacità ha rappresentato la causa prima nella coniazione di termini cistoscopici come “trigonite” o “cervicotrigonite” o anatomo-patologici come “metaplasia squamosa”o “vaginale del trigono”, mentre invece dovremmo parlare di reperto normale di epitelio squamoso.

Molto spesso in passato abbiamo utilizzato etichette di comodo per identificare come affette da cervico-trigonite pazienti con frequency, urgency, dolore sovrapubico o uretrale, nelle quali non siamo stati capaci di identificare chiare eziologie organiche (infezioni, neoplasie, ostruzione meccanica o funzionale cervico-uretrale ecc.).”

“Nel 2002, sempre seguita dallo stesso urologo, sono sottoposta ad intervento di diatermocoagulazione per sospetta metaplasia del trigono vescicale. Per farla breve, nessun risultato e cistiti ancora continue.”
Giada 14/05/2011 (cistite.info)

Leucoplachia - leucoplasia

La normale e non patologica metaplasia, in risposta ai continui stimoli irritanti infettivi, estrogenici, infiammatori e meccanici, può però trasformarsi in un tessuto cheratinizzato, cioè duro, ispessito e senza elasticità: la leucoplachia. La leucoplachia viene frequentemente riscontrata infatti in pazienti con cistite cronica, cistite interstiziale, calcolosi vescicale, in portatori di catetere vescicale a permanenza ed in pazienti con carenza di vitamina D.

Il termine leucoplachia o leucoplasia significa “placche bianche”. Il nuovo tessuto formato infatti ha un aspetto bianco, in rilievo, ispessito. Al di sotto di questo strato di leucoplachia la mucosa è erosa, talvolta emorragica ed imperniata di sostanze infiammatorie, che possono raggiungere anche lo strato muscolare sottostante alterando anche a questo livello le cellule che lo compongono. Anche il tessuto tra una placca e l'altra risulta irritato e sofferente. L'ispessimento della parete vescicale può raggiungere anche i 3 cm.

"Dite che non sapete cosa sia la leucoplachia...io posso provare a spiegarvi cosa mi hanno detto in merito il mio dottore e l'urologo. La leucoplachia o leucoplasia (in greco leucòs significa bianco) è una formazione che si crea nella vescica in seguito a ripetuti episodi di infiammazione causati, per es., dalla cistite...il mio medico mi ha detto (ed io lo ripeterò con parole mie) che la parete della vescica è formata da uno strato di 3 tipi di cellule..quelle più superficiali sono atte alla continua riproduzione, nel senso che si sfaldano e muoiono con facilità per "ripulire" in continuazione la vescica. Nel corso di un'infezione, però, il loro processo di "estinzione" è più rapida rispetto alla loro capacità di riproduzione e pertanto l'organismo, per evitare che parte della mucosa rimanga "scoperta", la "rimpiazza" con cellule più resistenti che fanno parte di uno strato inferiore.
Sono cellule cornee (e che sono, appunto, bianche)...ed essendo più resistenti resistono ai continui attacchi dei batteri (nel caso di cistiti recidivanti) e non muoiono come le altre.”
Madda76 07/03/2009 (cistite.info)

La leucoplachia del trigono è un reperto comunissimo tra le donne sottoposte a cistoscopia e biopsia. Se non subentra un'eccessiva cheratinizzazione, la leucoplachia regredisce con il regredire dell'infiammazione. Più è avanzato il processo di cheratinizzazione e più la leucoplachia diventa irreversibile. La leucoplachia è considerata una lesione precancerosa perché presenta, rispetto a una metaplasia normale, una potenzialità maggiore di trasformazione in carcinoma a cellule squamose. E' doveroso sottolineare però che la frequenza di tumore vescicale nella donna è di circa una su 100.000 e che fra queste pochissime donne solo il 2% ha un carcinoma a cellule squamose, cioè che origina da tessuti leucoplasici. Il restante 98% dei tumori vescicali deriva da tessuti senza leucoplasia (cioè da tessuto transizionale “normalissimo”). Considerando quindi la ridotta frequenza di tumore vescicale squamoso e l'elevata casistica diagnostica di leucoplasia nelle donne sottoposte a cistoscopia, risulta infondato l'eccessivo allarmismo che viene fatto sulla concerogenicità di questa alterazione vescicale.

Alcuni autori sostengono che la sintomatologia della leucoplachia sia simile a quella delle cistite batterica e che giustifichi i sintomi in caso di urinocoltura negativa. Altri autori invece affermano che la leucoplachia è solo una diagnosi di comodo, che viene fatta laddove non si riesca a trovare una causa ai sintomi riferiti dalla Paziente.

I sostenitori della leucoplachia sintomatica tenderanno a curare la leucoplachia inizialmente con l'instillazione vescicale di antinfiammatori, cortisone e nitrati d'argento ed in caso di inefficacia con la rimozione chirurgica della lesione leucoplasica.

I sostenitori della leucoplachia asintomatica, comune ed innocua, tenderanno invece a non toccare questa lesione ritenendo inutile e dannosa l'asportazione chirurgica. Se non viene rimossa la causa che ha portato allo sviluppo della leucoplachia, essa tenderà infatti a riformarsi a distanza di brevi o lunghi periodi. Inoltre il tessuto sottoposto a questo tipo di intervento rischia di essere molto più rigido, cicatriziale, meno elastico e maggiormente a rischio di infezioni in quanto perderebbe le sue capacità difensive. D'altra parte è vero che anche un tessuto leucoplasico è un tessuto malmesso, ma mentre la leucoplachia può regredire, una cicatrice resterà sempre una cicatrice.

Chi ha ragione? Non resta che affidarci alle testimonianze delle donne con leucoplachia del trigono.

molti dottori non consigliano la loro "bruciatura" col laser, perché, in caso di cistiti recidivanti, il processo si potrebbe tranquillamente ripetere e quindi non avrebbe senso subire un intervento (anche se in day hospital), per una cosa che ti può tornare dopo un mese e che, tra l'altro, non comporta nulla di dannoso...se leggete che è una forma precancerosa, non vi preoccupate, perché non è così...me l'ha assicurato il mio urologo (ex primario della mia città...quindi, si spera che almeno qst lo sapesse!!! )
P.S. so tutto ciò perché anche io ho una leucoplachia trigonale (tipica nei casi di cistiti ripetute!)”
Madda76 07/03/2009 (cistite.info)
“La bruciatura del trigono è stato uno dei numerosi tentativi, inutili tentativi, di una povera esasperata e alla frutta. Ma infatti penso che sia una pratica non più effettuata, o almeno lo spero.
Credo che non faccia altro che peggiorare la situazione dei nervi sottostanti la vescica, infiammandoli ancora di più. Quindi te lo sconsiglio vivamente!!
Tra l'altro non si capisce neanche che diavolo di pratica sia, dovrebbe bruciale lo strato superiore e permettere a quello sottostante di crescere nuovo e sano, ma evidentemente non funziona così per la parete vescicale, anzi la rende più fragile”
Bedelia67 (27/10/2009) (cistite.info)
“io sono stata consigliata dall'urologo a non cauterizzare le leucoplachie proprio perché tendono a riformarsi e poi perché lui stesso mi ha detto che la teoria precancerosa è da prendersi moooooolto con le pinze...per la serie, è una cosa molto comune tra le donne che hanno avuto anche solo qualche recidiva e quindi se dovesse essere qst a provocare il tumore alla vescica, allora...ce l'avremmo tutte!
Cmnq, le teorie sono discordanti sul toglierle o meno...ma l'esperienza (come la tua), ci insegna che tornano...eccome se tornano!!!!”
Madda 07/03/2009 (cistite.info)
“Mi trovarono la leucoplachia nella prima cistoscopia che ho fatto, mi furono proposte dieci instillazioni di nitrato d'argento che sospesi alla seconda perchè provocavano fortissimi bruciori, nell'ambulatorio con me c'erano molte ragazze che di nitrato hanno fatto tutto il ciclo, se poi non funzionava (cosa assai probabile) si passava alla resezione della leucoplachia, io me la sono data a gambe prima.
In seguito, alla asl ho incontrato una ragazza che fece sia il nitrato che la resezione, era disperata....mi disse che non solo i sintomi erano peggiorati, ma subito dopo era insorta incontinenza urinaria tanto che usciva con il panno
(…) In seguito chiesi al Dott. Porru, lui disse che loro non la fanno più da tantissimi anni avendo capito che tanto poi si riforma e non è utile al fine di miglioramenti
Disse anche che è stata riscontrata in parecchie cistoscopie di vesciche con c.i.
Spero di essere stata utile
P.S. Se fosse stato uno stadio precanceroso, dopo sei anni magari non sarei neppure qui
Mariluna (16/02/2010) (cistite.info)

Bibliografia

  1. “La percezione del dolore pelvico: fattori predittivi e implicazioni cliniche” A. Graziottin, Lettura magistrale, 56° Convegno della Società degli Urologi del Nord Italia (SUNI), Saint Vincent (AO), 25-27 ottobre 2007
  2. “Fisiologia del dolore” www.wikipedia.org
  3. “I leucotrieni (parte seconda)” G. Bartolozzi. . Medico e Bambino pagine elettroniche 2008; 11(3) http://www.medicoebambino.com/?id=OS0803_10.html
  4. “Manuale di chirurgia generale vol II” G. Fegiz, D. Marrano, U. Ruberti, Piccin 1996
  5. “Cronologia di una scoperta” R. L. Montalcini, 2009, Baldini Castoldi Dalai, pagg 99/104
  6. “Metodologia diagnostica: semeiotica medica e diagnosi differenziale” C. Sacchetti, Piccin 1991, pagg 136-144
  7. “Recenti acquisizioni in tema di neuropatie cutanee allodinie, vestibolodinia e fibromialgia“ C. Torresani, Università degli Studi di Parma
  8. “Il dolore” AIST (associazione italiana per lo studio della terapia del dolore e dell’ipnosi clinica)
  9. “Dalla lateralità emisferica ai neuroni specchio,un nuovo paradigma per la nuova ipnosi” C. Antonelli, M. Luchetti, acta anaesthesiologica italica vol.58 n. 4, 2007, La Garangola - Padova (pag.376 – 400)
  10. “Nonpharmacological and noninvasive Management of Pain: Phisical and Psycological Modalities” M. P. Brugnoli, A. Norsa, La Grafica Editrice. 2006
  11. “Valutazione del ruolo della batteriuria asintomatica nella prevenzione delle recidive sintomatiche nelle giovani donne affette da UTI ricorrenti...” F. Meacci, T. Cai, N. Mondaini, L. G. Luciani, D. Tiscione, G. Malossini, S. Mazzoli, R. Bartoletti, 84°congresso nazionale SIU, Roma 23-26 ottobre 2011
  12. “Medicina preventiva e riabilitativa” A. Zangara, Piccin, 1996, pagg 491-494
  13. “Segni e sintomi della medicina d'emergenza” S. R. Votey, M. A. Davis, Elsevier Masson, 2008, pagg 39/40
  14. “Diagnostica per immagini dell'apparato urogenitale” L. Grazioli, Springer editore, 2008, pagg 146-148
  15. “Manuale Merck per medici” http://www.msd-italia.it/altre/geriatria/sez_12/sez12_100.html
  16. “Manuale di citopatologia” A. Vecchione, Piccin editore
  17. “Anatomia patologica clinica” M. Raso, Vol II, Piccin editore
  18. “Cistite pseudomembranosa: ha senso parlarne ancora oggi?” M. Larosa, F. Facchini, G.L. Pozzoli, B. Monica. Dagli atti del 56° convegno nazionale di Saint Vincent della società degli urologi del nord italia. Volume 75 n. 2, S-10
  19. “tumori della vescica” da www.urologiaverona.net/patologia/tumori/tum_vescica.htm
minzione

La vescica ha la funzione di raccogliere l'urina proveniente dai reni ed espellerla attraverso l'uretra.

La maggior parte del processo minzionale è inconscio ed automatico.

La minzione avvien i 4 fasi: riempimento, stimolo impellente, minzione e rilassamento.

 

 

Fase di riempimento

Durante la fase di riempimento il detrusore (il muscolo della vescica) è rilassato.

Vescica: fase riempimento

 

 Fase di riempimento

a. Detrusore rilassato

b. Orifizio uretrale interno chiuso

c. Pavimento pelvico rilassato

d. Orifizio uretrale esterno chiuso

 

Le frecce indicano la direzione della pressione

 

 Generalmente si avverte il primo stimolo di dover urinare quando in vescica ci sono circa 200ml di urina. I recettori presenti sul muscolo detrusore inviano un messaggio al centro di controllo della minzione nel cervello, che a sua volta manda l'input alla vescica facendo insorgere il desiderio di urinare. Si tratta di un primo stimolo debole, che si affaccia alla nostra coscienza in maniera intermittente.

 

Stimolo impellente

 La fase di riempimento continua fino ad arrivare a 400/600ml. A questo punto lo stimolo diventa forte e continuo. La pressione esercitata dall'urina all'interno della vescica aumenta. Interviene allora la muscolatura del pavimento pelvico a comprimere l'uretra per evitare la fuoriuscita di urina.

stimolo impellente

 

Fig. 6: Stimolo impellente

a. Detrusore stimolato

b. Orifizio uretrale interno chiuso

c. Pavimento pelvico contratto

d. Orifizio uretrale esterno chiuso

 

 In condizioni normali tra il primo stimolo di leggero desiderio minzionale e quello impellente da vescica piena intercorre un lasso di tempo sufficiente a consentire la scelta del luogo e del momento più appropriati alla minzione.

 

Minzione

La minzione avviene grazie a 2 fattori:

  • da una parte il rilassamento dei 2 sfinteri uretrali (interno ed esterno) e dei muscoli del pavimento pelvico (ciò permette il passaggio e l'uscita dell'urina)
  • dall'altra la contrazione del detrusore che, aumentando la pressione all'interno della vescica, permette all'urina di essere spinta fuori. Durante la contrazione la vescica assume una forma ad imbuto, che facilita l'espulsione dell'urina 

fase minzionale

 Fig.7: Minzione

a. Detrusore contratto

b. Orifizio uretrale interno aperto

c. Pavimento pelvico rilassato

d. Orifizio uretrale esterno aperto

 

 Semplificando possiamo paragonare la vescica ad un tubetto di dentifricio: il contenitore è il detrusore, il dentifricio è l'urina e il tappo è la chiusura data da orifizi uretrali e pavimento pelvico. Se schiacciamo il tubetto creiamo una pressione all'interno, che farà uscire il dentifricio. Tuttavia se il tappo è chiuso il dentifricio non uscirà. Idem se il tappo è aperto, ma non c'è pressione sul tubetto. Perché il dentifricio esca (l'urina), è necessaria la sinergia dei due meccanismi: apertura del tappo (muscoli pelvici rilasciati e orifizi uretrali aperti) e pressione sul tubetto (contrattura del detrusore).

 

Rilassamento

Terminata la minzione i 2 sfinteri uretrali ed il pavimento pelvico si ricontraggono per evitare perdite di urina, la vescica riacquista la sua forma piatta ed il muscolo detrusore torna in stato di rilassamento per consentire alla vescica di espandersi di nuovo con l'accumularsi di urina.

Ricomincia quindi una nuova fase di riempimento.
Il tubetto di dentifricio è stato tappato e riposto nel bicchiere sopra al lavandino.

Bibliografia

  1. “Anatomia del Gray. Le basi anatomiche per la pratica clinica” S. Standring, Elsevier 2009, pagg 123/1248
  2. “Anatomia umana” G. Goglia, Piccin 1999, pagg 498/504
  3. “Manuale di laboratorio, Volume 1” L. Spandrio, Piccin 1985, pagg 731-734
  4. “Fisiologia” R. G. Carroll, Elsevier Masson, 2008, Pagg 135/138
  5. “Anatomia umana” L. Bucciante, Piccin, 1986, pagg 653/778
  6. “Anatomia TC multidetettore Body” L. Romano, M. Silva, S. Fulciniti, Springer 2010, pagg 179/182
  7. “Anatomia e fisiologia per infermieri” G. Goglia, Piccin 1987, pagg 225/236

Il cateterismo vescicale consiste nell'introduzione in vescica di un catetere sterile a scopo evacuativo (per svuotare la vescica), diagnostico (per effettuare una diagnosi) o terapeutico (per introdurre un farmaco direttamente in vescica).

Il cateterismo, per qualsiasi scopo lo si effettui, rappresenta un notevole fattore scatenante di infezioni delle vie urinarie (cistiti), generalmente sostenute da Escherichia Coli, Enterococcus fecalis e Proteus .

“Ho una vescica artificiale ( effettuata con intestino) dovuta ad un tumore infiltrante alla vescica.
Per urinare devo fare circa 5 autocateterismi al giorno poichè non riesco a svuotarla da sola. Purtroppo il continuo uso di cateteri mi provoca infezioni frequenti che mi hanno costretto a prendere antibiotici molto spesso. Ora sono arrivata al punto che non funziona più nessun antibiotico.”
Lapo 08/02/2011 (cistite.info)

Il cateterismo è definito a intermittenza se il catetere (monouso) viene lasciato in sede solamente il tempo necessario a svuotare la vescica o inserire un farmaco in vescica  e rimosso subito dopo.

E' definito a breve permanenza se è mantenuto in sede per pochi giorni (da uno a 30 giorni), a lunga permanenza se supera i 30 giorni.

cateterismo                                                   Catetere a lunga permanenza

 

Maggiore è il tempo di permanenza del catetere e maggiore sarà il rischio di sviluppare infezione . Si è valutato infatti che dopo pochi giorni di cateterizzazione il 10 - 30% dei soggetti cateterizzati sviluppa batteriuria (presenza di batteri nelle urine) spesso asintomatica , mentre dopo 30 giorni questa percentuale sale al 100% dei soggetti. Questa elevata frequenza di infezioni è dovuta a ll' introduzione e al trasporto di microrganismi dall'uretra alla vescica durante l'inserimento del catetere, ma anche alla risalita in vescica di microbi provenienti dalla sacca di raccolta delle urine (in cui ristagnano per ore riproducendosi), e ancora a l materiale di cui è composto il catetere, materiale privo di difese e quindi molto vulnerabile alla contaminazione e alla formazione di biofilm batterici (barriera prodotto da molti batteri, che gli garantisce un'ulteriore protezione contro le difese umane e contro gli antibiotici.

Pertanto è sempre consigliabile rimuovere i l catetere non appena possibile e dare preferenza al cateterismo intermittente rispetto a quello a permanenza, sebbene comporti un rischio maggiore di traumatismi sull'uretra, formazione di tessuto cicatriziale e sensibilizzazione.

In entrambi i casi (cateterismo a permanenza ed intermittente) la respirazione addominale rilassa la muscolatura pelvica agevolando sia l'introduzione che la rimozione del catetere, limitando i traumi uretrali e, di conseguenza, infezioni e dolore.

L'urinocoltura periodica nei soggetti cateterizzati si è rivelata inutile poiché la maggior parte di loro presenta sempre batteriuria asintomatica innocua per la quale anche i protocolli ufficiali non prevedono alcun trattamento antibiotico . L'urinocoltura diventa necessaria solo in presenza di sintomatologia infettiva (febbre molto alta , stranguria, dolore lombare), nel qual caso va presa in considerazione la terapia antibiotica laddove gli approcci meno aggressivi abbiano fallito. La rimozione o la sostituzione del catetere prima di iniziare la terapia antibiotica facilita la guarigione.

L'assunzione di D-mannosio contribuisce a prevenire o limitare le infezioni urinarie .

“il Prof.Pesce mi ha proibito di fare ancora altre urinoculture se non con febbrone da cavallo. (...)
Sto più tranquillo perché ormai non mi misuro la febbre ogni ora, o non bevo più come un cammello, e poi niente più urgenze, niente più bruciori o dolori pelvici, almeno per ora...
Per gli antibiotici, (per la vescica), niente più da settembre scorso, quindi quasi un anno (...)
Grazie al Prof.Pesce e Rosanna ed al mannosio sto meglio, speriamo duri...”
Totomancifg 24/09/2011 (cistite.info)

L'impianto di neuromodulatori sacrali in qualche caso di vescica neurologica ha dimostrato di poter ridurre o eliminare totalmente l'utilizzo di cateteri.

“Anche io facevo 5 cateterismi al giorno e questo mi portava continue infezioni,ma da novembre mi sono sottoposta all'impianto di un neuromodulatore sacrale e questo ha portato la mia vescica a svuotarsi sola. Ora faccio un solo cateterismo ogni 5/6 giorni.”
Chigrara 15/06/2011 (cistite.info)

I calcoli sono formazioni molto dure somiglianti a sassolini più o meno grandi.

Le formazioni più piccole, simili più alla sabbia, vengono chiamate renella.

Calcoli e renella si formano a partire dai cristalli, ossia da agglomerati di sali (ossalato di calcio nel 70% dei casi, acido urico nel 10%, struvite nel 10%, cistina nel 2% ed altri sali nel restante 8%). Questi cristalli tendono ad aggregarsi formando calcoli o renella in presenza di condizioni favorenti: scarsa idratazione, diminuzione dei componenti urinari che inibiscono la cristallizzazione, aumentata secrezione dei sali che li comporranno, alterazione del ph urinario.

 

I sintomi dei calcoli renali

L'entità del danno e dei relativi sintomi è proporzionale alle dimensioni del calcolo e alla sua collocazione. Cristalli e renella, trascinati col flusso urinario graffiano la parete vescicale e la mucosa uretrale, provocando dolore e difficoltà di svuotamento. I calcoli invece non provocano sintomi finché non aumentano eccessivamente di dimensione o cominciano a spostarsi danneggiando le mucose che incontrano lungo il loro percorso o occludendo il percorso stesso.
Se il calcolo ostruisce il normale deflusso dell'urina a livello uretrale subentra ristagno vescicale (con conseguente cistite), dolore, difficoltà di svuotamento, frequenza, minzione intermittente, ematuria, sgocciolamento uretrale e uretrocele (dilatazione dell'uretra).
Se il calcolo è posizionato nel tessuto renale in caso di ostruzione l'urina non riuscirebbe a passare e si accumulerebbe nei calici renali (quegli imbuti nei quali si raccoglie l'urina prima di passare negli ureteri) provocandone la dilatazione eccessiva (idronefrosi) e quindi coliche renali, caratterizzate da dolore acuto, tipo crampo, in zona lombare o nel basso ventre, che può estendersi agli inguini o stimolare nausea e vomito. La comparsa di febbre è generalmente segno di complicazione infettiva (pielonefrite).

 

I calcoli e la cistite

Calcoli e renella rappresentano causa e conseguenza della cistite. Ciò è dovuto sia al fatto che un tessuto lesionato dai graffi è più soggetto alle infezioni, sia al ristagno urinario dovuto all'ostruzione da calcolo (o parti di esso) fermo nell'uretra. Oltre a ciò va considerato che in caso di litiasi (calcolosi) i batteri responsabili dell'infezione sono molto difficili da debellare perché trovano nel calcolo un rifugio perfetto. Il calcolo infatti è privo di vasi sanguigni, pertanto gli antibiotici, i macrofagi, gli anticorpi e tutte le nostre cellule immunitarie (tutti trasportati dal sangue) non riescono a raggiungere i batteri annidati al suo interno. Il calcolo quindi si trasforma in serbatoio batterico ed allo stesso tempo in bunker protettivo per questi germi, che continuano a riprodursi indisturbati e ad infettare ciclicamente.

Gli Schemi di cura specifici per ciascun tipo di Cistite messi appunto da Cistite.info possono aiutarti a combattere e prevenire la Cistite.

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Gli stessi residui organici prodotti dall'infezione si accumulano sul calcolo incrementandone ulteriormente la dimensione. Ciò porta ad una maggiore occlusione, a maggior ristagno e all'instaurarsi del circolo vizioso, che fino a che non verranno rimossi i calcoli, eliminata la renella e ridotti i cristalli, difficilmente avrà termine.

Non è raro tuttavia che la sintomatologia provocata dalla presenza di cristalli, renella o piccoli calcoli venga scambiata per cistite, anche in assenza di batteri.

Come affrontare la cistite acuta

 

La diagnosi

Per non confondere calcoli con cistite basterebbe analizzare il sedimento urinario con un semplice esame urine da cui emergerebbe cristalluria, ossia la presenza di cristalli nelle urine. La cristalluria, oltre ad essere responsabile di una sintomatologia simil cistite, è un buon indicatore della presenza di calcoli o renella, o del rischio di svilupparli in futuro. Un'urinocoltura negativa con un analisi del sedimento positiva ai cristalli dovrebbe sempre far sospettare una tendenza alla formazione dei calcoli.

I calcoli possono essere individuati tramite: ecografia addominale, radiografia, urografia con mezzo di contrasto, tac.

Come interpretare l'esame urina

 

La cura dei calcoli

E' ormai radicata nell'immaginario collettivo (sia popolare che sanitario) che la miglior terapia per espellere i calcoli sia l'idratazione massiccia con acqua oligominerale o minimamente mineralizzata per non sovraccaricare l'organismo di sali minerali e che per prevenirne la formazione siano necessarie una dieta povera di calcio e l'acidificazione urinaria.

Niente di più errato!

Gli studi più recenti hanno dimostrato che le vecchie linee guida sbagliavano e sono state sostituite con le seguenti:

  1. niente idratazione massiccia in caso di colica renale (approfondimento)
  2. acque e diete povere di calcio non servono a ridurre o prevenire la calcolosi. Molto più efficace una dieta che limiti proteine, sale e ossalati (approfondimento)
  3. calcio, fitati (elementi contenuti nelle farine e nei cereali integrali) magnesio, zinco e potassio prevengono la formazione dei calcoli (approfondimento)
  4. la vitamina C favorisce la formazione di calcoli di ossalati (approfondimento)
  5. l'assunzione di citrati risulta essere un validissimo aiuto nella lotta alla calcolosi (approfondimento)
  6. l'acidificazione urinaria favorisce la formazione di calcoli, l'alcalinizzazione la ostacola (tranne in rari casi) (approfondimento).

Nel caso in cui tutti questi provvedimenti non fossero sufficienti ad espellere il calcolo, si ricorrerà alla litotrissia (onde d'urto che frantumano il calcolo rendendolo più facilmente eliminabile), all'ureteroscopia (l'endoscopio, passando dall'uretra risale in vescica, negli ureteri e nei reni, raggiunge il calcolo, lo frantuma e lo asporta), o al trattamento percutaneo (l'endoscopio raggiunge il calcolo entrando da un foro nella cute).

 

Approfondimento linee guida terapeutiche

  1.  La colica renale avviene perché il calcolo ostruisce i condotti renali; la pressione a monte aumenta, dilata queste vie e provoca dolore. Secondo il Dr P. Piana (responsabile del Centro Calcolosi Urinaria dell'A.S. Città della Salute e della Scienza di Torino) un aumento di acqua non può che peggiorare la sintomatologia anziché bloccarla, mentre antinfiammatori e miorilassanti sarebbero molto più efficaci nel facilitare il passaggio del calcolo e la sua espulsione. L'idratazione massiccia quindi pare sia consigliabile soprattutto a livello preventivo più che terapeutico. Importante tuttavia diluire  l'assunzione dei liquidi in maniera omogenea durante la giornata. Bere molto in breve tempo infatti dilaterebbe i calici pielici a monte del calcolo provocando idronefrosi e dolore renale. Un apporto limitato, ma costante durante tutta la giornata invece consente un lavaggio renale senza sovraccarico.

  2.  Si è notato che le acque dure (ricche di calcio) paradossalmente prevengono la formazione di calcoli di calcio. Loris Borghi della clinica universitaria di Parma ha dimostrato attraverso uno studio su 120 pazienti che la somministrazione di una dieta senza restrizioni di calcio, ma con limitato apporto di sale (sodio), ossalati e proteine animali, riduce la formazione di calcoli molto più di una dieta che limita il calcio. Infatti il calcio legato agli ossalati non riesce a passare la parete intestinale, quindi non entra in circolo e viene eliminato con le feci. Se manca calcio invece, l'ossalato verrà tutto assorbito, entrerà nel circolo sanguigno e raggiungerà i reni, dove formerà cristalli, precursori dei calcoli.
    Il sodio invece entra in competizione col calcio. Succede quindi che a livello renale (dove buona parte dei sali minerali che arrivano vengono di nuovo riassorbiti e reimmessi in circolo), il tubulo renale (la parte del rene che “decide” quale minerale riassorbire), predilige il sodio lasciando nei reni il solo calcio come rifiuto da eliminare insieme ai liquidi in eccesso. Ossalati e calcio si incontrano dando origine alla formazione di calcoli di ossalato di calcio.

  3.  Per quanto appena spiegato, un supplemento di calcio ai pasti si è visto che riduce la presenza di ossalati nelle urine e quindi la formazione di calcoli. Lo stesso si ottiene con un supplemento di magnesio, potassio, zinco e fitati.

  4. La vitamina C (acido ascorbico), oltre ad acidificare le urine, è un precursore diretto dell'acido ossalico, che precipitando forma ossalati. Secondo uno studio effettuato presso il Karolinska Institutet di Stoccolma, l'assunzione di alte dosi (circa 1 g al giorno) di acido ascorbico (vitamina C) raddoppia il rischio di sviluppare calcoli renali di ossalato. Sono state somministrate 20 vitamine diverse a 48.850 uomini per 11 anni per valutarne l'influenza sulla formazione di calcoli. Nel corso di questi 11 anni di studio si sono verificati 436 nuovi casi di nefrolitiasi (calcoli renali), la maggior parte dei quali nei pazienti trattati con acido ascorbico (rischio doppio rispetto a chi aveva assunto altre vitamine, che invece si sono rivelate ininfluenti nella formazione di calcoli).

  5.  Il citrato è un potente inibitore dei calcoli. Numerosi studi indicano che i pazienti con nefrolitiasi hanno un basso livello di citrati nelle urine (ipocitraturia). Il citrato infatti inibisce (in ambiente alcalino) l'aggregazione dei sali precursori dei calcoli: fosfati, ossalati, calcio, acido urico, ecc. I citrati inibiscono sia la prima fase di formazione del nucleo del calcolo, sia la fase successiva di crescita per progressiva apposizione di altri sali. Inoltre facilita l'eliminazione dei frammenti residui di calcoli dopo litotrissia (la disgregazione del calcolo fatta con onde d'urto).
    I citrati svolgono un ruolo importante anche nella prostatite cronica: l'alcalinizzazione del secreto prostatico ottenuta coi citrati, favorirebbe la diffusione dell'antibiotico nell'acino prostatico.
    I citrati possono essere assunti anche per dare sollievo ai bruciori associati ad infiammazioni delle vie urinarie.

  6.  La formazione della maggior parte dei calcoli è agevolata da un ph acido. L'acidità infatti, riduce sia la quantità di citrati nelle urine, che l'efficacia della proteina di Tamm Horsfall, altro potente inibitore dei calcoli, facilitando così l'aggregazione di cristalli di acido urico, ossalato di calcio, urati amorfi (di calcio, magnesio, sodio e potassio), cistina, leucina, tirosina, colesterolo, bilirubina, xantina.
    La stessa proteina di Tamm Horsfall (pTH) però in ambiente acido tende ad aggregarsi contribuendo a formare calcoli e riducendo la sua superficie di adesione ai batteri (perdendo quindi anche la sua funzione antibatterica). L'ambiente alcalino invece aumenta la produzione renale di pTH, che restano non aggregati. Si è anche visto che più acido sialico contengono le pTH e meno provocano aggregazione di ossalati di calcio. Importante quindi non solo la quantità di queste proteine presenti, ma anche il ph della soluzione in cui sono e la quantità di acido sialico in esse presente.
    Tra gli alcalinizzanti utili a prevenire la cristallizzazione vi sono l'economicissimo bicarbonato di sodio o i classici alcalinizzanti da banco. Estremamente utile è l'utilizzo di alcalinizzanti contenenti sali minerali in forma citrata, come per esempio il magnesio citrato.

      Non sempre però l'alcalinizzazione previene i calcoli. Esistono infatti calcoli che si formano in ambiente alcalino. E' il caso dei calcoli di struvite, fosfato amorfo, carbonato di calcio, fosfato di calcio, urato acido di ammonio, solfato di calcio. I batteri detti ureasi positivi (Proteus, Pseudomonas, Staphylococcus saprophyticus Providencia, Morganella) in grado di trasformare in ammoniaca l'urea contenuta nell'urina. Quest'ultima è molto alcalina ed innalza il ph urinario a oltre 7,5. L'alcalinizzazione eccessiva rende meno solubili i fosfati, il magnesio e l'ammonio, che invece di sciogliersi si accumulano aggregandosi in cristalli, che a loro volta formeranno calcoli di struvite. Solo in questi casi è quindi prevista l'acidificazione urinaria per ostacolare la formazione di cristalli e calcoli. Per acidificare è possibile utilizzare integratori specifici a base di metionina (Acidif) ed erba spaccapietra.
    Importante quindi conoscere la composizione del calcolo o dei cristalli per poter intraprendere una terapia idonea alla loro disgregazione e alla loro prevenzione.

 

Testimonianze

“avevo dieci anni. Avendo degli episodi ricorrenti, la mia pediatra sospettò la presenza di calcoli renali (data la familiarità, infatti ne soffro)”
La storia di Scrat 03/09/2011 (Forum cistite.info)
“Pensa che anch'io avevo sospettato di avere della renella, infatti a mia sorella anni fa dopo ripetute cistiti le fu diagnosticata”
Intervento di Viviana 14/03/ 2012 (Forum cistite.info)
“Sono affetta principalmente da due tipi di cistite diversi.
Il primo, con cui ho idea che dovrò convivere per sempre, mi colpisce quando i miei poveri reni iniziano a produrre renella. La sabbiolina irrita la vescica e così divento intrattabile come la maionese con troppo olio.
Il secondo, appare poco dopo aver sentito dolore nei rapporti sessuali. Non parlo di dolore da far urlare, basta anche che senta un pochino di male (mille fattori, eh: posizione strana, poca lubrificazione, durata del rapporto troppo lunga..) ed è fatta.
In questi giorni sono cortese come un camionista a cui hanno fregato l’autoradio.
Facendo l’urinocultura, le colonie di batteri appaiono solo nel secondo caso”
La storia di Relm 10/01/2012 (Forum cistite.info)

Bibliografia

  1. “Disturbi ostruttivi minzionali nella donna candidata al trapianto renale, ruolo dell'infermiere dedicato” Lombardi, Ceratti, Morellini, Cornella, Barbè, Kocjancic, Frea, Stratta, dal Giornale di tecniche nefrologiche & dialitiche, anno XVII n°1, Wichtig editore, 2005
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  16. “La gestione del catetere vescicale” tratto da L'infermiere, notiziario di aggiornamento professionale, n° 2 Dicembre 2012
  17. “Il cateterismo vescicale. Procedure, indicazioni, linee guida, per poter eseguire la manovra in sicurezza” G. Bon, L. Urbani, pubblicato su InfermieriOnline il 29.09.04 dietro autorizzazione del Responsabile Ufficio Infezioni Ospedaliere dell'Azienda per i Servizi Sanitari N° 2 – Gorizia
  18. “Gestione del catetere vescicale”, Informazioni dalla letteratura scientifica per una buona pratica infermieristica, Dossier InFad – anno 2, n. 22, luglio 2007
  19. “Manuale di Chirurgia Generale (2 voll.)” G. Fegiz, D. Marrano, U. Ruberti , Piccin 1996
  20. “Anatomia patologica clinica” M. Raso, ed. Piccin 1980
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