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Scritto dalla Dr.ssa Daniela Botta

bacteria 1451505 180Al Congresso Mondiale di Medicina Sessuale del 2018, con l’Istituto di Sessuologia Clinica di Roma, presentai questa revisione della letteratura scientifica sulle Best practice nel trattamento della vulvodinia .

Cosa è cambiato da allora?

Forse qualche conoscenza in più sull’efficacia di alcuni farmaci e integratori, ma l’evoluzione più rilevante è stata la crescita della consapevolezza del problema, nella comunità scientifica, tra i clinici e nelle donne stesse che, sempre di più, sentono il diritto di dar voce alle loro necessità.

In un recente passato molti disturbi dolorosi idiopatici, cioè di cui non si conosce una causa, venivano definiti psicosomatici. Di fatto le/i pazienti venivano liquidati o “scaricati” allo psicologo, considerati finti malati, malati immaginari o, peggio, responsabili dei loro stessi disturbi. Le donne che soffrono di dolore genito pelvico rientrano senz’altro tra le sfortunate pazienti che hanno spesso subito questa sorte.

Il cambiamento culturale promosso dalle stesse donne che soffrono di dolore genito pelvico riunite in associazioni è un motore fondamentale per il trattamento di queste patologie, che richiede un ruolo proattivo delle pazienti, una partecipazione attiva alle cure, un impegno costante negli esercizi fisioterapici e nella terapia psicosessuologica.

Secondo la revisione aggiornata della letteratura scientifica, infatti, l’approccio vincente alle patologie legate al dolore genito pelvico continua ad essere l’approccio integrato: biopsicosociale.
Il dolore coinvolge diversi aspetti medici, somatici, psicologici e relazionali che devono essere presi in carico in modo integrato. E’ importante che l’approccio sia questo, sin dal processo di assessment che deve integrare l’analisi delle componenti fisiche, psicologiche, emotive e relazionali, considerando tutti i fattori di rischio: predisponenti, precipitanti, di mantenimento e di contesto.

Nonostante i grandi progressi fatti nel campo della medicina sessuale, si è visto che i trattamenti medici da soli falliscono nel 50% a causa della complessa interazione tra l’efficacia, la soddisfazione del trattamento, gli eventi sfavorevoli, le preoccupazioni, i costi e i fattori psicosociali che gravano sulla sfera sessuale. L’approccio biopsicosociale integrato rappresenta, ad oggi, la strada vincente per il trattamento delle problematiche sessuali.

Tra le cause predisponenti del dolore sessuale troviamo principalmente cause mediche: l’endometriosi, le neuropatie, status ormonali, terapie oncologiche, comorbilità con altre patologie come cistite interstiziale, fibromialgia, coliti, emicrania, fattori neurologici, muscoloscheletrici etc., ma, perché le terapie siano veramente efficaci, è importante considerare gli aspetti psicologici e relazionali che incidono nella percezione del dolore e nel mantenimento del problema. La consapevolezza di sé e del proprio corpo che nasce dall’integrazione della psicosessuologia e della fisioterapia alla terapia medica è la strada per il successo terapeutico.

Qualunque sia il tipo di dolore provato è importante non cadere nel tranello culturale che per le donne sia normale provare dolore sessuale e rivolgersi a professionisti che si occupino di queste problematiche e che lavorino con altri specialisti in modo integrato. E’ importante che ci sia una grande alleanza terapeutica, una estrema fiducia e collaborazione tra i clinici che prendono in carico la paziente, anche per affrontare insieme quelli che possono essere i momenti di sconforto nel procedere della terapia.

E’ importate rivolgersi agli specialisti tempestivamente, perché, quando si prova un dolore ripetutamente, si crea una memoria del dolore, un’associazione rispetto allo stimolo in cui lo si è provato. Se nella sessualità si prova ripetutamente dolore, si crea una forte associazione con la sessualità e si instaura un circolo vizioso, che avrà delle conseguenze negative, con ulteriori complicazioni non solo individuali ma anche di coppia.

Purtroppo ancora oggi molte donne cadono nell’inganno che la soluzione sia normalizzare il dolore genitale. Un recente studio pubblicato sul Journal of Sexual Medicine, condotto negli Stati Uniti su 2000 donne dai 18 ai 49 anni, ha evidenziato che il 25% provava dolore durante i rapporti sessuali e la metà di queste non comunicava al partner il dolore provato. Questo studio americano, svolto nell’epoca del movimento del #Metoo, è sorprendente perché, in un momento in cui non solo le donne manifestavano perché il sesso fosse sempre consensuale, ma anche reciprocamente piacevole, la metà delle donne che soffriva di dispareunia sceglieva di nascondere al partner il dolore sofferto durante i rapporti sessuali.

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Dr.ssa Daniela Botta - Istituto Sessuologia Clinica di Roma
Psicologa, Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, ECPS
isc

 

 Guarda il video per scoprire quali motivazioni si nascondono dietro a questa scelta di portare avanti in silenzio una sessualità dolorosa e perché si rivela una trappola destinata a cristallizzare il problema, contrapponendole le strategie efficaci dimostrate dalle evidenze scientifiche.

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