L’esperienza delle persone con incontinenza urinaria che utilizzano dispositivi invasivi durante la riabilitazione del pavimento pelvico.
Uno studio qualitativo pubblicato su Physiotherapy Research Internation.
Scritto da: Benedetto Giardulli,
Gaia Leuzzi,
Ottavia Buccarella,
Marco Testa,
Simone Battista.
Introduzione
L’incontinenza urinaria è un disturbo molto comune, che interessa tra il 25% e il 45% delle donne e fino a un terzo degli uomini. Oltre al disagio fisico, l’incontinenza può avere un forte impatto psicologico, influenzando la qualità di vita, la sessualità e le relazioni sociali.
Il trattamento raccomandato come prima scelta è la rieducazione dei muscoli del pavimento pelvico (PFMT, Pelvic Floor Muscle Training), una serie di esercizi progressivi mirati a migliorare la forza, la consapevolezza e il controllo di questa muscolatura. Spesso, per facilitare l’apprendimento e rendere l’allenamento più efficace, vengono utilizzati dispositivi endocavitari invasivi (vaginali o anali) che possono offrire, biofeedback (segnali visivi o sonori che mostrano l’attività muscolare), resistenza al movimento, per potenziare la forza, e/o stimolazione elettrica, per facilitare la contrazione o il rilassamento.
Esempi di questi strumenti sono coni vaginali, sonde per biofeedback, dispositivi a vibrazione o elettrostimolazione. Tuttavia, poiché il loro utilizzo implica il contatto endocavitario, molte persone vivono la proposta di questi strumenti con imbarazzo, ansia o disagio, il che può compromettere la costanza e l’efficacia del trattamento. Per comprendere meglio come le persone vivono questa esperienza, lo studio di Giardulli e colleghi ha esplorato in profondità le percezioni e le emozioni di uomini e donne che hanno utilizzato dispositivi invasivi durante la riabilitazione del pavimento pelvico.
Approfondimento: L'incontinenza urinaria
Lo Studio-Metologia
Lo studio, approvato dal Comitato Etico dell’Università di Genova, ha adottato un approccio qualitativo basato su interviste semi-strutturate condotte online. Grazie anche alla collaborazione con l’associazione Cistite.info APS, l'associazione che da oltre 10 anni è il punto di riferimento in Italia per la salute uro-genitale femminile, sono stati coinvolti 14 partecipanti italiani (7 donne e 7 uomini, età media 58 anni), tutti con diagnosi di incontinenza urinaria ed esperienza diretta con dispositivi interni durante il percorso di PFMT. Le interviste, della durata media di 12 minuti, hanno esplorato:
- le prime reazioni all’uso dei dispositivi;
- l’esperienza pratica e le difficoltà incontrate;
- il ruolo del fisioterapista;
- le sensazioni fisiche ed emotive;
- i suggerimenti per migliorare i dispositivi o il percorso riabilitativo.
L’analisi dei dati è stata condotta con il metodo della “Reflexive Thematic Analysis” di Braun Clarke, che consente di individuare i temi ricorrenti e i significati condivisi nelle esperienze raccontate.
I quattro temi generati dall’analisi:
1. Da un obbligo a un’accettazione: il percorso emotivo verso il dispositivo
All’inizio, quasi tutti i partecipanti hanno raccontato sentimenti di disagio, ansia o paura.
Molti hanno percepito il dispositivo come “qualcosa di non naturale” o addirittura come un simbolo di debolezza (“vuol dire che non sono capace da solo”). Col tempo, però, queste sensazioni tendevano a trasformarsi in accettazione, grazie alla consapevolezza dell’utilità del trattamento e ai risultati ottenuti.
Le donne più abituate ad ascoltare il proprio corpo hanno riferito di provare meno imbarazzo.
Gli uomini, invece, descrivevano l’uso della sonda anale come un passo necessario ma faticoso, vissuto quasi come un “dovere” per guarire, più che una scelta spontanea.
“All’inizio mi sembrava una cosa invasiva e innaturale, ma poi ho capito che mi serviva per migliorare.” (Donna, 45 anni)
“Era una cosa sgradevole, ma l’incontinenza è così fastidiosa che avrei fatto qualsiasi cosa per risolverla.” (Uomo, 69 anni)
2. Fiducia, gradualità e comunicazione: gli ingredienti per superare la paura
La relazione di fiducia con il fisioterapista è emersa come il fattore più importante per affrontare l’imbarazzo iniziale. Quando l’uso del dispositivo veniva spiegato con calma, introducendolo in modo graduale e rispettoso, i pazienti si sentivano più tranquilli e partecipi. Molti hanno sottolineato quanto fosse utile che il professionista spiegasse il perché e il come dell’utilizzo, mostrando il dispositivo, illustrandone la funzione e accompagnando passo dopo passo.
“Mi hanno spiegato tutto con delicatezza. Così l’inserimento non è stato un trauma.” (Uomo, 66 anni)
“Serve una guida che ti aiuti a capire cosa stai facendo e perché. Senza, è difficile fidarsi.” (Donna, 27 anni)
Un approccio empatico, personalizzato e non giudicante ha permesso ai partecipanti di vivere il percorso come una collaborazione terapeutica anziché come un’imposizione.
3. Il dispositivo come “allenatore tascabile”: consapevolezza e autonomia
Superata la fase iniziale, molte persone hanno iniziato a percepire il dispositivo come un alleato per migliorare la consapevolezza del proprio corpo. Il biofeedback visivo o sonoro forniva una conferma immediata dell’efficacia della contrazione, aiutando a capire “se si stava facendo bene”.
“Vedere sullo schermo come si muoveva il mio muscolo mi motivava tantissimo.” (Uomo, 69 anni)
Questo ha favorito la motivazione e la costanza, ma anche un senso di autonomia e padronanza del proprio corpo. Molti lo hanno descritto come un piccolo “allenatore portatile”, utile anche a casa, per rinfrescare la percezione del movimento corretto. Tuttavia, alcuni hanno ammesso che mantenere la regolarità nell’uso richiedeva tempo, concentrazione e impegno. Il dispositivo, quindi, era utile ma non sostitutivo degli esercizi attivi: era percepito come un supporto, non una soluzione automatica.
4. Bisogni degli utenti: privacy, accessibilità e semplicità
Il tema più pratico riguardava le difficoltà logistiche e psicologiche nell’uso dei dispositivi:
- trovare un momento di tranquillità e privacy;
- gestire la necessità di spogliarsi;
- timore di essere interrotti a casa;
- costo elevato dei dispositivi e scarsa disponibilità in Italia;
- design poco discreto o difficile da trasportare.
Molti hanno anche evidenziato l’importanza di migliorare la semplicità d’uso, con comandi intuitivi e istruzioni più chiare (ad esempio sull’uso dei lubrificanti). Un partecipante cieco ha suggerito l’introduzione di una sintesi vocale, per favorire l’autonomia delle persone con disabilità visiva.
“Servirebbe un dispositivo facile da usare da soli, anche per chi non è un tecnico.” (Uomo, 66 anni)
Conclusioni
Il percorso delle persone con incontinenza che utilizzano dispositivi invasivi è caratterizzato da una trasformazione emotiva: dalla diffidenza e vergogna iniziale all’accettazione e, in molti casi, alla fiducia. Il ruolo del fisioterapista è cruciale: una comunicazione empatica, spiegazioni chiare e un’introduzione graduale rendono l’esperienza più accettabile e riducono il senso di invasione.
L’uso attivo dei dispositivi, e non passivo, permette di migliorare la percezione del pavimento pelvico e di consolidare la capacità di contrarlo correttamente, promuovendo autonomia, consapevolezza e autogestione. Le difficoltà pratiche (privacy, costi, usabilità) restano barriere significative. Per questo, i partecipanti auspicano nuovi strumenti più accessibili e non invasivi, magari esterni, wireless e discreti, ma capaci di offrire un biofeedback efficace. Per concludere, questo studio dà voce a uomini e donne che affrontano l’incontinenza con coraggio e curiosità, e mostra che, se accompagnati con empatia e professionalità, anche strumenti percepiti come “intimi” o “difficili” possono diventare strumenti di conoscenza, libertà e benessere.
Implicazioni pratiche per pazienti e fisioterapisti
- L’imbarazzo è normale, ma si riduce con fiducia e spiegazioni chiare.
- Il dispositivo è un mezzo per conoscere meglio il proprio corpo, non una punizione.;
- Serve partecipazione attiva: osservare, sentire, imparare a controllare i muscoli.
- La privacy, la comodità e l’accessibilità economica devono essere rispettate e migliorate.
- I fisioterapisti hanno un ruolo chiave nel creare un ambiente sicuro, rispettoso e personalizzato.
