diversi studi dimostrano che la profilassi antibiotica non serve a scongiurare le complicazioni
vescicoureterale (RVU), effettuata con l’obiettivo di prevenire complicazioni più gravi come
pielonefrite (l’infiammazione del rene e della pelvi renale) e cicatrici renali, non è efficace. Lo
dimostra uno studio multicentrico guidato dall’IRCCS materno-infantile Burlo Garofolo di
Trieste durato 6 anni (due di trial effettivo e quattro di follow-up), che pone fine a un’annosa
diatriba sull’opportunità di ricorrere alla profilassi antibiotica per evitare le recidive di infezione
urinaria. La ricerca, cui hanno partecipato altri sei ospedali pediatrici del nord Italia
(Pordenone, Monfalcone, San Daniele, Tolmezzo, Cesena e Bologna), è stata pubblicata sulla
rivista Pediatrics.
Il reflusso vescico-ureterale è un’anomalia congenita relativamente frequente nell’infanzia,
causata da un ritardo nella maturazione della giunzione tra vescica e uretere che provoca la
risalita dell’urina in direzione del rene. Ciò può facilitare l’insorgenza di infezioni urinarie e, se il
quadro si complica, causare pielonefrite, una grave infiammazione renale, spesso ricorrente. In
genere il disturbo si risolve con la crescita (i casi più severi intorno ai 10-12 anni, gli altri
prima). Nel frattempo, però, episodi ripetuti di pielonefrite possono danneggiare in modo grave
la funzionalità dei reni fino a causare insufficienza renale.
L’approccio clinico tradizionale al reflusso vescico-ureterale - nonostante l’assenza di prove a
conferma di un rapporto di causa-effetto fra RVU e pielonefrite ricorrente – si basava sulla
somministrazione di antibiotici per periodi prolungati (anni), anche in assenza di sintomi. Era
opinione comune che, così facendo, si potesse evitare il coinvolgimento renale.
Lo studio multicentrico coordinato dal Burlo Garofolo di Trieste comprova l’inutilità di tale
strategia, e conferma che l’opzione migliore per trattare le pielonefriti in bambini con RVU
consiste in una diagnosi precoce seguita, solo in caso di reale necessità, dalla
somministrazione mirata e temporanea di antibiotici.
“Lo studio appena concluso - spiega Marco Pennesi, responsabile del Servizio di nefrologia della
clinica pediatrica dell'IRCCS Burlo Garofolo – pone due punti fermi nel trattamento delle
pielonefriti in bambini con RVU. Innanzitutto, indica che l’antibiotico-profilassi non aiuta a
prevenire le infiammazioni renali acute ricorrenti; in secondo luogo, conferma che l’approccio
finora usato (la profilassi antibiotica) non modifica neppure il corso naturale della malattia,
poiché non riduce significativamente l’incidenza di danno renale, indicato dalla presenza di
cicatrici. Inoltre, rispetto a indagini precedenti che hanno raggruppato nello stesso studio
popolazioni molto eterogenee di soggetti (da bambini di sei mesi a ragazzi di 18 anni), la
presente ricerca individua con chiarezza la classe più a rischio di complicanze, quella, cioè, su
cui bisogna intervenire tempestivamente: i bambini di età compresa o inferiore ai 30 mesi”.
L’indagine ha reclutato cento bambini di età uguale o inferiore ai due anni e mezzo, con
accertata presenza di RVU, i quali sono stati trattati, e non, con antibiotico-profilassi. Al
termine dello studio i ricercatori non hanno rilevato differenze significative fra i due gruppi
quanto al rischio di pielonefrite, né nella presenza di un maggior numero di cicatrici renali.
“I dati che abbiamo raccolto nel corso di questi sei anni di indagine – precisa Alessandro
Ventura, Direttore della Clinica Pediatrica IRCCS Burlo Garofolo-Università di Trieste –
suggeriscono che il RVU non rappresenta un fattore di rischio per la pielonefrite ricorrente,
come invece si pensava. L’importante, ora, sarà inserire questa scoperta nelle linee guida
pediatriche, diffondendola anche tra i pediatri di libera scelta”.
https://www.fimpcalabria.org/public/all ... iotica.pdf
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31454101/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28557737/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/18490378/